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Io dico: governo antimafia (da un’idea di Riccardo Orioles)
Il Fatto Quotidiano
5 agosto 2010
E’ vero. Sa di muffa, il governo tecnico. Ma potrebbe anche sapere di rivoluzione civile. Di grande progetto di liberazione del paese. Immaginate per esempio un governo tecnico per combattere la mafia, ossia tutte le organizzazioni mafiose e quelle simili. Che si ponga fondamentalmente questo scopo. Partendo dalla consapevolezza (rivoluzionaria) che è questo oggi il primo grande problema del paese. Un’economia che viene divorata dai capitali sporchi, una politica sfregiata o umiliata dagli interessi criminali nei consigli comunali e in parlamento, un ambiente devastato da rifiuti tossici gettati in mare, nelle aree agricole o sotto le nuove costruzioni, professioni inquinate dai facili guadagni, la sanità come bottino di guerra e mica solo in Calabria, soldi sottratti a sicurezza e cultura per buttarli nelle fauci dei lavori pubblici di cricche e clan. E il bilancio dello Stato. E la finanza. E l’informazione, sissignori pure lei.
Un governo tecnico che faccia in ogni campo tutto quel che serve a liberarci finalmente da questo aspirante esercito di occupazione, o a farlo arretrare, a non promettergli più un’Italia-eldorado da conquistare senza fatica. Fino alla fine della legislatura, perchè il governo Berlusconi è cotto, senza onore e non ha più la maggioranza. Tutto quel che serve. Nella sicurezza, nella giustizia, nella programmazione e gestione dei lavori pubblici, nella tutela dell’ambiente e del paesaggio, nelle politiche fiscali, nella scuola. Che fissi anche qualche vincolo alle politiche sanitarie delle regioni nell’interesse superiore della nazione. E che intervenga nell’amministrazione della cosa pubblica e nell’esercizio della democrazia rappresentativa. Immaginiamo, solo per fare qualche esempio: una legge per sveltire i tempi dei processi e che filtri i ricorsi in Cassazione; un’altra che introduca l’obbligo del certificato antimafia per i lavori di movimento terra (finora incredibilmente esenti); una per vietare concessioni, convenzioni e consulenze a imprese e studi professionali riconducibili ai parenti degli amministratori che le decidono; una per reintrodurre i concorsi per i segretari comunali (oggi “di fiducia” dei sindaci) e ridare poteri di controllo ai consigli comunali; una per cancellare la legge elettorale-porcata, a partire dalle liste bloccate. Una per riempire di maestri di strada i quartieri dell’abbandono e della devianza minorile. Eccetera. E poi i provvedimenti che non hanno bisogno di leggi particolari. I soldi a sicurezza, giustizia e istruzione. E basta invece con il Ponte, basta con i grandi eventi. Dare i soldi per l’Aquila agli aquilani, con ferreo controllo centrale (una bella white list) sulle imprese. E via i disinformatori di regime, a partire da chi usò il suo tiggì per definire “minchiate” (da cui l’eterno diritto all’appellativo di minchiolini) le affermazioni di Gaspare Spatuzza. Di nuovo eccetera.
Davvero un governo tecnico così sarebbe il ritorno della vecchia politica? Il problema è semmai un altro: avrebbe un governo del genere una maggioranza parlamentare? Perché sarebbe assai grave sapere (e fare sapere al mondo) che il parlamento non desidera un governo intenzionato a combattere la mafia; e non desidera ripulire l’immagine dell’Italia, oggi considerata -piaccia o no- il principale principio di infezione del sistema occidentale. Certo un governo così dovrebbe sapere rappresentare tutte le aree politico-culturali presenti in parlamento. Ma è così difficile? Possiamo mai immaginare che non ci siano persone di destra e sinistra di valore e oneste, considerate tali dal presidente della Repubblica e dal suo primo ministro incaricato, intendiamoci, non certo dai partiti, visto che se no arrivano i giudici costituzionali “avvicinabili” da un Lombardi qualsiasi? E’ una duplice scommessa. Di là un parlamento che dopo le umiliazioni che la politica si è autoinflitta senta il bisogno di riscattare se stesso con un obiettivo superiore, di interesse nazionale, e di esaltare la propria capacità di selezionare al rialzo la classe di governo. Di qua un elettorato che, in nome di quell’obiettivo comune, esprima la saggezza collettiva di rinunciare su più piani a riforme “di destra” o “di sinistra” e accetti il semplice e pulito buon governo (il quale però sarebbe già in sé una riforma…).
Obiettivo troppo ristretto? Troppo ambizioso? L’unica cosa certa è che il paese ne ha un bisogno estremo. Se qualcuno ha genio e coraggio li tiri fuori.
Nando
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