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Brera: ovvero la faccia come il c… (più Cuore)
Lo avrete senz’altro immaginato: la prima tentazione è stata di scrivere quel c… per intero. Poi ha prevalso la mia antica predilezione per lo stile e mi sono contenuto. Ma faccia come il c… rimane, eccome. Nulla di attuale. Sto lavorando con strepitoso furore creativo al mio secondo libro dell’estate (il primo, l’antologia Einaudi sui classici dell’antimafia, è già in bozze). Si intitola “La convergenza. Mafia e politica nella seconda Repubblica”. Originale, moderno; almeno mi sembra, ma vedrete poi voi. Così, mentre spulciavo i giornali delle ultime settimane per controllare alcuni nomi dell’inchiesta della Boccassini sulla ‘ndrangheta a Milano, mi sono imbattuto in un articolo sul Corriere a firma Paola D’Amico. Materia: l’annoso trasferimento dell’Accademia di Brera alla nuova sede, da me individuata e ottenuta (quando ero sottosegretario all’Università) nella vecchia e centrale caserma di via Mascheroni. Be’, gente mia, stando alla cronaca, sembra che questa scelta (che allarga l’Accademia e anche la Pinacoteca) sia stata fatta dall’attuale governo e dal commissario straordinario per la Grande Brera, Mario Resca, “il quale per sei mesi ha lavorato all’accordo che ha portato 20 mila metri quadrati di spazi in più per l’Accademia di Belle Arti”. Quello dello spazio era stato infatti “uno dei punti dolenti sul quale i precedenti progetti di trasloco si erano impantanati”. Tanto che “è ancora viva (in chi? dove?) la protesta di due anni fa, quando un primo accordo che assegnava all’Accademia appena 8 mila metri quadrati venne firmato ma poi contestato da professori e studenti”. “Soddisfatto il direttore dell’Accademia, Gastone Mariani, che molto si spese per ottenere più spazi per gli studenti”.
Non so a chi si debba questa giuliva rappresentazione (si lavora in tanti, infatti, a produrre un’informazione). Il governo, il direttore, l’autrice dell’articolo: chissà? In ogni caso sarà bene precisare. Il progetto che mi trovai io in eredità dal centrodestra non saltò per gli spazi (poi si capì che c’era anche quel problema), ma perché realizzava uno scippo inaudito alle casse pubbliche, favorendo senza pudore imprenditori privati (e il Corriere lo caldeggiava assai!). Il direttore attuale fece una campagna forsennata contro il trasferimento alla caserma raccontando che l’Accademia se ne sarebbe andata via tutta da Brera (non era vero, era esattamente come è previsto ora), che il nuovo spazio era di 4 o 5 mila metri quadrati (e non era vero, era come oggi; o forse la caserma è nel frattempo raddoppiata?) e che sotto terra c’era l’uranio impoverito (bum! e ora non c’è più? e chi l’ha tolto?). Il fatto è che dopo la protesta (quella che è “ancora viva”) non si poté che prendere atto che la mia proposta era la migliore soluzione tra quelle possibili. E il direttore ha giustificato la sua conversione con la voglia di aderire all’appello per Milano del Corriere della Sera. Che roba, gente mia. Anche a Napoli hanno inaugurato il teatro interno all’Accademia di Belle Arti che avevo voluto restaurare (un piccolo gioiello). Dice che a tavola, brindando, tutti mi nominavano; nei discorsi ufficiali nessuno però si era azzardato a ringraziarmi in contumacia (invitarmi, lo so, sarebbe stato pazzesco). Càpita. Vabbe’, descritta la faccia come il c… (della situazione, sia chiaro), e ribadito che l’importante è fare il proprio dovere a prescindere, ammettiamo che ci sono cose più gravi.
A partire da quella povera signora filippina massacrata dal pugile ucraino a Milano in viale Abruzzi. Fosse stata italiana, la notizia avrebbe aperto i tiggì. Il razzismo purtroppo non colpisce solo chi commette i reati, ma anche chi li subisce. Non so quanto potrebbe servire in questi casi, però concordo per principio con Sofri: e se insegnassimo un po’ di più a leggere “Cuore”?
Nando
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