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Ricordo di uno “zio” particolare
Oggi in una chiesetta accanto al Fatebenefratelli di Milano ha ricevuto l’ultimo saluto una persona particolare. La chiamavo “zio”, “zio Luigi”. Anche se non era mio zio. Era il marito di una compagna di scuola di mia madre. Ginnasio a Napoli, anni trenta. Mia madre la ritrovò negli anni cinquanta a Milano. Presero a frequentarsi, l’amica abitava a poche centinaia di metri dalla grande caserma di via Moscova, di cui io conoscevo ogni anfratto. Erano così legate che vinse l’uso meridionale. Gli amici vennero chiamati zii dai figli degli altri. E loro divennero per noi zia Rita e zio Luigi. Facevamo gite indimenticabili (anche perché non furono più di due o tre), il mio cockerino riconosceva l’arrivo di zia Rita dal rumore di tacchi all’inizio delle scale. Io ricevevo vestiti, soldatini e libri usati da Giorgio, il loro figlio maschio. E per similitudine dovetti fare la sua sezione al Parini (lui era più grande di me), così che mi toccò imparare lo spagnolo: lingua bellissima e dolcissima, ma che poi mi creò un sacco di problemi quando arrivarono i trasferimenti a raffica e non si trovavano sezioni di spagnolo a Roma o a Torino. Imparai più tardi l’inglese a Londra, dove c’era ad aiutarmi (pensa il caso) proprio Floriana, ossia la loro figlia, più grande a sua volta di Giorgio.
Con lo zio Luigi andavo a vedere le partite ogni domenica; e lui mi difendeva da chi voleva darmi gli scappellotti perchè proprio non mi controllavo. Intervenne lui per farmi mettere i pantaloni lunghi (i pantaloni lunghi!) a tredici anni e non a quindici, come nelle previsioni paterne. Ero già un anno avanti, mi risparmiò figure tapine con tutte le mie compagne di scuola. E’ una storia lunga. Qui basti dire che dopo via Carini dell’82 fu proprio la zia Rita, di idee opposte alle mie, a farsi ricevere un giorno da Montanelli per chiedergli di smetterla con il mio linciaggio (già, perché Montanelli non fu sempre quello del ’94…). Spiegò, appunto, di essere mia zia…Lui le rispose che avrebbe smesso se avessi smesso anch’io (!!!). Zio Luigi, a sua volta, difese la memoria dell’amico ucciso in ogni modo. Quando uscì il celebre libro di Nicotri con le frottole del maresciallo Incandela (vedi qualche post fa) che diffamavano mio padre, organizzai un confronto pubblico nella sede delle Acli a Milano. Ne ho già scritto ma non posso fare a meno di ricordarlo ora: con il generale Bozzo e con il giudice Spataro comparve dietro il tavolo dei relatori anche zio Luigi. Non aveva mai parlato in una occasione pubblica, ma lo fece per l’amico. Al quale, ai tempi del terrorismo, preparava gli spaghetti a tarda sera. Mio padre stava allora in un’altra caserma, in via Marcora, ed era vedovo. Si vedevano così: mio padre dal primo piano e lui dall’undicesimo di via Turati 29. Un segno prudente e convenzionale dalla finestra illuminata e lo zio Luigi metteva l’acqua a bollire.
Qualche anno fa se ne è andata la zia Rita, che lui aveva accudito nella malattia per molti anni. Quando ho potuto (ahimé, qualche volta di meno, devo dire) gli ho fatto compagnia. Ho avuto l’idea, di cui oggi sono felice, di andare a vedere con lui, noi due da soli, la finale dei mondiali, con una bella bottiglia di vino. Oggi è stato salutato, io l’avevo visto lunedì mattina, senza sapere quanto sarebbe durata. E’ andato il Gracco, che si chiama come il suo amico più caro. Io questo saluto e questo grazie gli dovevo. E se è materia poco pubblica scusatemi. Però lo sapete, questo è un blog particolare…
Nando
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