Cossiga. Ovvero la morte del giornalismo

Se uno deve capire com’è conciato il giornalismo italiano deve fare una cosa sola: studiarsi l’orgia di demenza che si è scatenata sulla morte di Cossiga. Complici, corrivi, frivoli, immemori, insulsi, ammiccanti (del tipo “io me lo ricordo così, oh quant’era simpatico, che battute che faceva”). Autentiche prefiche di regime. Il corollario, ammettiamolo, è che il regime è un po’ più vasto dell’impero di Arcore, che già non scherza. Certo, ci sono le eccezioni. Ma stavolta sono state meno del solito. Fra l’altro basta prendere i necrologi, che sono sempre un buon indicatore di quello che è stato il mondo dello scomparso, e ci trovi dentro ogni massoneria possibile e perfino i gladiatori, intesi come Gladio. E in ogni caso: dove la mettete la trasmissione televisiva in cui hanno invitato a ricordarlo Graziano Mesina, ma sì, Graziano Mesina il bandito, il sequestratore, in quanto sardo? Idea stupenda. Chissà quando vedremo Cutolo ricordare qualche politico o intellettuale napoletano. Datemi retta: come direbbe Asterix, Sono Pazzi Questi Giornalisti (SPQG). Dadaismo puro.

Meno male che c’è Stromboli, con il suo mare brulicante di meduse che non mi fa fare il bagno, ma bello da vedersi che è una meraviglia. Confido che nei prossimi giorni il lungo e paziente lavoro dei bambini (che drenano e infilzano meduse come stakhanovisti) mi metta in condizione anche di nuotarci. Il bello dell’isola, fra l’altro, è che non rimane mai uguale a se stessa. Quest’anno, per esempio, la spiaggia di Piscità è lunga un terzo in meno dello scorso anno. E anche il ciclo delle lune, ovviamente, cambia a ogni agosto. Una volta arrivi con la luna piena, un’altra non la trovi per niente. Sembra banale, ma l’incontro, il primo incontro, così come l’addio, si incide nella memoria. E non è la stessa cosa ritrovarsi insieme con le stradine tutte buie che le devi illuminare con il cellulare oppure con le stradine lucenti di luna. Così come vedere il rosso in cima al vulcano o vederci le stelle. Intervallo questi pensierini della sera con i miei lavori al libro. Confesso che scrivendolo capisco sempre di più la materia; verità antica che afferrai un giorno chino sulla mia tesi di laurea, mentre ascoltavo Elton John e Bambù, il mio cockerino, se ne stava addormentato con la testa sulla mia scarpa.

Cambia Stromboli ma il terremoto non le ha fatto niente. Eppure c’è stato un tale can can sul quarto grado e passa di magnitudo che vengono i turisti apposta per vedere che cos’è successo. Allora i furbacchioni li portano davanti a qualche casa sgarrupata e dicono “è stato il terremoto”. Il turista fa “ohoh”, è contento e dà la mancia. Vedete che non è sempre colpa dei telegiornali, siamo creduloni di natura. A proposito di telegiornali, però, questa ve la devo raccontare. Lidia Ravera ha scritto un libro su Stromboli. Intervista del tg1: “Ma Stromboli è un’isola di sinistra?” E uno. “E i suoi compagnucci (proprio così!) che cos’hanno detto che lei se ne è andata a Stromboli e ha lasciato i movimenti?”. E due. “Ma se andate sulle isole vuol dire che vi siete rassegnati alla sconfitta?”. Tre domande, tre gioielli. Ammettiamolo: i minchiolini non deludono mai. (A proposito, anzi non c’entra niente: se interessa, andate sul post precedente e vedete allegato da Stefano l’intervento che feci alla Camera sulla fiducia al governo D’Alema-Cossiga; giusto per ricordare)

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