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Se ne vale la pena. Domande a distanza (di 28 anni)
E il 2 settembre fu rientro a Milano, con tappa intermedia a Roma per vedere le sorelle e la minore dei Gracchi, già brillantemente impegnata con i Ris televisivi. Come ho detto a un amico: alla fine sono tornato nell’inciviltà, vale a dire nelle nostre belle, vecchie, insostituibili città inospitali. Ne approfitterò per i miei riscontri (un’infinità!!) per il libro, perché per quanto possa avere buona memoria non c’è nulla che valga come una bella e ben munita libreria. Quanto ai sogni, ancora non mi sono rimesso a posto. Non so davvero che mi succeda, giuro che è la prima volta in vita mia che mi capita. Ma anche nel letto romano ho sognato, ed è la seconda volta, un anonimo camorrista che mi ha rotto l’anima tutta la notte. Io gli dicevo guarda che ti ho già sognato, ora basta, e quello tornava come niente fosse. Fino all’alba. Ma fosse che ‘sto libro è davvero sgradito? Boh…
Intanto c’è una data che mi fa riflettere su queste cose più seriamente. Quella del 3 settembre. E’anche la data del matrimonio di Simone, figlio dell’immenso Robertoli, che si sposa domani giusto a Palermo (auguri, auguri!). Ma per me è altro, come qualche blogghista sa bene. E devo dire che il libro mi sta aiutando a collocare meglio anche quel settembre di 28 anni fa. Mi vien da dire che morire per uno Stato come l’ho rivisto io nel mio lavoro estivo è quasi una follia. Che vadano a fottersi le istituzioni di Mannino, di Cuffaro, di Dell’Utri, dei giornalisti servi, dei parlamentari della sinistra che regalarono alla mafia tra il ’96 e il 2001 leggi e provvedimenti di favore come se piovesse. Poi mi dico che per uno che ci crede anche morire è assolutamente normale. E che guai se ci domandassimo ogni volta che facciamo qualcosa di coraggioso se ne valga la pena oppure no. Me lo dico e me lo nego e poi me lo ridico. Intanto domani andrò alle commemorazioni milanesi. E in serata sarò in piazza a Otranto con Caselli a ricordare la vicenda di mio padre a 150 giovani di Flare (grande associazione internazionale), venuti da tutta Europa a fare una settimana intensiva di studi sulla criminalità organizzata. Palermo, dite? Il prefetto mi invita sempre gentilmente, ma sanno che ormai non ci vado più. E mica per Maroni, ma per la caterva di personaggi locali con cui avrei proprio tanti problemi anche a muovere un passo insieme. Insomma, mi hanno messo nella condizione (non bella, vi garantisco) di non poterci più andare. Neanche un fiore lì.
Ieri però mi ha restituito tutto un giovane maresciallo dei carabinieri, poco più che trentenne. Sono andato a trovare un investigatore importante per chiarirmi alcune ipotesi delicate del mio libro. Il maresciallo è sceso ad accogliermi. Gli ho chiesto scusa del disturbo, lui mi ha detto “per me è un onore”. Quando me ne sono andato mi ha detto “agli ordini”, e ho capito dal suo sguardo che lo stava dicendo al generale che non ha mai conosciuto.
Nando
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