Le continuità mafiose. A proposito del libro di Attilio Bolzoni

su "L’Indice", settembre 2010

A catturare è soprattutto l’ultimo capitolo, quello dedicato al “mistero dei misteri”. Lì è il cuore di una riflessione inquieta, smarrita o rabbiosa, che sempre più attraversa e interroga coloro che vissero quella stagione. Il mistero di Falcone e Borsellino, i dioscuri della nostra giustizia. L’Addaura, Capaci, via D’Amelio. Chi è arrivato dopo può esercitarsi su questa materia come su altri misteri d’Italia. Chi ricorda gli anni, le speranze, l’indignazione, l’affetto, la disperazione, rivede invece, come in un drammatico replay, ogni settimana di maggio, di giugno e di luglio del ’92  in un’altra luce. Perché non l’hanno ucciso a Roma (Falcone), chi aveva cercato di ucciderlo tre anni prima con il tritolo sugli scogli, chi ha voluto sfidare ogni reazione emotiva e politica ammazzando anche Borsellino nemmeno due mesi dopo. Domande dopo domande. E risposte quasi mai esaurienti, neppure in linea di ipotesi. Davvero un partito appena in embrione può avere l’urgenza di fare uccidere Paolo Borsellino? Chiudendo il suo FAQ Mafia (Bompiani, 203 pagine, 12 euro) Attilio Bolzoni, giornalista storico di Repubblica, solletica la mente, e ci lascia sopra pure qualche graffio. Lavora su quei misteri senza dietrologie, facendo tesoro dei dati inconfutabili, senza mollarli, ma senza mai andare oltre. E certo dopo la sentenza d’appello di fine giugno su Marcello Dell’Utri, di fronte alla chiara intenzione del collegio giudicante palermitano di purificare l’atto di nascita di Forza Italia, l’ultimo capitolo del libro assume un sapore particolare; come lo assumono in verità un po’ tutti i libri usciti quasi in contemporanea sulla celebre ipotesi di una “trattativa” tra mafia e Stato in quel biennio di bombe e di sangue che fu il ’92-’93 (per tutti: Maurizio Torrealta, La trattativa, Bur, 2010, pp. 675, 13 euro; Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco, L’agenda nera della seconda Repubblica, Chiarelettere, 2010, pp. 448, 15 euro).

E tuttavia se questa è l’attualità che accende l’attenzione del lettore,  FAQ Mafia ha, oltre alle ghiottonerie di cronaca, molti altri pregi. Perché Attilio Bolzoni è uno dei pochi giornalisti che abbia iniziato a occuparsi, e a occuparsi bene, di mafia molto tempo prima della discesa in campo di Berlusconi. Non è arrivato cioè alla mafia partendo dalla denuncia delle relazioni pericolose del Cavaliere, ma è arrivato alla mafia e alle sue nuove alleanze partendo dalla mafia e dalle sue precedenti relazioni con il potere. Non da Berlusconi alla mafia, cioè. Ma dalla mafia alla mafia (e ai suoi rapporti diretti o indiretti con l’impero berlusconiano). Sembra un sofisma. E invece dietro la differenza di approcci mentali c’è una differenza abissale di profondità storica, di spessore teorico, di sapienza delle persone e delle cose. Per questo quando ci si aggira a caso tra le pagine di FAQ Mafia viene quasi subito da esclamare “Finalmente!”. E diventa spontaneo trasformare quell’avverbio di soddisfazione nel succo estremo della recensione del libro.

Il quale si snoda con intenzione e forma didascaliche. Domanda e risposta. Si susseguono le domande più spontanee per ogni giovane o cittadino che desideri saperne di più. Che cosa è la mafia, quanti sono i mafiosi, ma è vero che c’è stata anche una mafia buona, perché la mafia non viene sconfitta, il processo Andreotti, ma la magistratura ha protetto la mafia. E via di seguito. Un’infinità ragionata di interrogativi. Quelli primordiali e anche quelli da iniziati: il cinema ha rispecchiato la mafia o l’ha ispirata, come il giornalismo ha raccontato la mafia, qual è stata la funzione della letteratura. Fino a quello più attuale: la mafia si maschera da antimafia?

Le risposte di Bolzoni sono talora molto sintetiche, più spesso impegnative e argomentate. Sembra un esercizio elementare, ma dietro la struttura didascalica si staglia una notevole capacità di distinguere, di accostare, di ragionare e di ricordare. E’ come se d’improvviso l’elenco preciso e puntiglioso delle collusioni di cui si nutre quasi tutto il giornalismo di mafia cedesse il posto al respiro della storia, della letteratura, del folclore minuto che si fa, agli occhi dell’esperto, antropologia mafiosa. Il computer ricco di files e le telefonate o gli incontri con i pubblici ministeri si arricchiscono repentinamente di letture, di cinema, di cose viste in diretta, di libri, di mille testimoni incontrati, di ragionamenti tormentati fatti fino alle ore piccole, a bocce ferme o con gli occhi rossi di pianto. Ecco allora saltare fuori da un quarto di secolo fa l’aggressione compiuta contro Falcone e Borsellino sul Giornale di Sicilia o sui grandi quotidiani milanesi. Ecco che quelle due date canoniche, 23 maggio e 19 luglio, intorno a cui tutti si affannano con fiori, messe e francobolli, acquistano tutt’altro valore. Basta provare a leggere questo editoriale comparso sul quotidiano palermitano in pieno maxiprocesso, il 30 giugno dell’86. “Si giustificano così le comiche figure di strani giudici che popolano il proscenio giudiziario dei nostri tempi: il giudice che indossando il giubbotto antiproiettile, pistola in pugno, plana con il suo elicottero, sequestra migliaia di documenti per poi scomparire all’orizzonte come cavaliere senza macchia.[…] Ma sono veramente giudici costoro? Le stesse forze di polizia credono di no, perché si sentono espropriate della propria funzione. Mostra di non crederlo neanche Carnevale, quando con i suoi colleghi cassa ordini di catture e sentenze […]. Certo, se anziché sfrecciare sgommando su Alfette blindate, circondato da telecamere e riflettori, il povero giudice cura, seduto solo e curvo delle brossure dei codici, che nel processo vengano rispettate le regole, cioè i diritti delle parti, non godrà di pubblicità e neppure, ahimé, di meriti e riconoscimenti ufficiali”. Rileggiamo testualmente: Comiche figure di strani giudici…E ancora: Ma sono veramente giudici costoro? Pensare che si sta parlando di due dei più grandi eroi della storia della Repubblica mette imbarazzo e pena. Per la stampa, per la funzione “deontologica” dell’ordine dei giornalisti; per quel che questi attacchi infingardi significarono per chi, come Falcone, aveva coscientemente scelto, in nome dello Stato, di non avere figli “per non lasciare orfani”. Ma questa è la storia, che va ricostruita e capita e riconnessa con quel che accade oggi. Michele Greco, il “papa” di Ciaculli, frequentava tranquillamente il direttore del quotidiano che pubblicava queste ignominie. Le proprietà, le complicità, le schiene non diritte, gli opportunismi. Questo mondo a forti tinte ma anche popolato di sfumature si incontra nel gioco a incastro allestito da Bolzoni. E rimbalza di pagina in pagina obbligando a riflettere di più, a non accontentarsi delle frasi apodittiche del tipo “oggi la mafia non è più quella di una volta, con la coppola e la lupara, ora la mafia va in jet e usa il computer”; frasi  che già si pavoneggiavano in altra forma nei dibattiti degli anni sessanta (“oggi la mafia va in giulietta e usa il telex”). Obbliga ancora, questo gioco a incastro, a  pensarci dieci volte prima di recitare, davanti a uditori pronti ad annuire, il ritornello secondo cui  oggi la forza della mafia sta nel suo rapporto con la finanza e con la politica. E Sindona?, sembra dire Bolzoni. E Andreotti? Che cosa sono, che cosa erano se non -esattamente- finanza e politica ai massimi livelli?

Sulla stessa lunghezza d’onda si muove il gioco di domande e risposte quando giunge il turno dei professionisti in camice bianco. Come è noto, infatti, i mondi e gli ambienti che hanno fatto da sfondo alla vicenda giudiziaria dell’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro  si sono distinti per la presenza ricorrente di medici e titolari di cliniche. Particolare impressione ha fatto, ad esempio, la scoperta che il capomandamento di Brancaccio dopo l’arresto dei fratelli Graviano fosse Giuseppe Guttadauro, ex aiuto primario al reparto Chirurgia del Civico di Palermo. E che anche il capomandamento di San Lorenzo, Antonino Cinà, fosse medico. Fino a far concludere che “ora la mafia recluta anche i medici”, con contorno dei soliti luoghi comuni sulla nuova mafia dei colletti bianchi. Bolzoni, al quale certo non sfuggono le novità relative al business della salute e delle cliniche, mette subito sull’avviso. “Se torniamo indietro nel tempo”, dice, di medici mafiosi “ce ne sono stati tantissimi”. Il caso più clamoroso è certo quello di Michele Navarra, il capomafia di Corleone nel dopoguerra, colui che uccise con una iniezione il pastorello che aveva assistito alla scena dell’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto. Ma restò celebre anche il caso di Francesco Barbaccia, arruolato da Gaetano Badalamenti e mandato, grazie alla Dc, per due legislature in parlamento, dove non prese mai la parola né firmò mai un’interrogazione o un’interpellanza.

Ecco, tra i libri che escono a getto continuo su Cosa Nostra FAQ Mafia svolge il compito prezioso di spazzar via i luoghi comuni sul “cambiamento” e di tenere i riflettori bene puntati sulla continuità. In fondo è il suo pregio maggiore: riuscire con la propria piana semplicità a demolire le semplificazioni. A sbriciolare con la ragione e la memoria l’enfasi di scoperte immaginarie.

Leave a Reply

Next ArticleRicco dibattito di un'umanità in estinzione