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Il filosofo che insegna la retta via
Il Fatto Quotidiano
26 settembre 2010
1998. Signor Bertolé, in nome della legge la proclamo dottore in filosofia. 2000. Dottor Bertolé, complimenti, la commissione la proclama dottore di ricerca in ermeneutica filosofica. 2003. Lamberto Bertolè, filosofo ed ermeneuta, si butta nella mischia e fonda la cooperativa sociale Arimo per il recupero di minori devianti. Una rarità, perché in quegli anni case dedicate a questo tipo di minori praticamente non ce ne sono. Vengono usate quelle di accoglienza per i tossici, grazie ai posti resi liberati dal calo del consumo di eroina. Oppure quelle che ospitano bimbi o adolescenti in affido civile. In tutti e due i casi una pessima partenza per recuperarli, i ragazzi devianti. Che abbiano o non abbiano commesso reati. Che siano finiti o meno nelle maglie della giustizia penale.
Lamberto Bertolé ha 35 anni, il viso magro e lungo rimpolpato dalla barba e un sorriso dolce-ironico sotto quelli che una volta si dicevano occhialini da intellettuale. Ha fatto lo scout dai sei ai ventidue anni, grande scuola per imparare il valore delle relazioni nella vita degli adolescenti. Se gli chiedete perché, esattamente, ha fatto questo azzardo, forse non ve lo sa dire nemmeno lui. Perché ama i giovani, certo. Ma anche perché la delusione sofferta a causa della politica (la finta rivoluzione dopo Mani Pulite, la crisi del’Ulivo) l’ha convinto a mettere le mani lì dove la politica non passa, i ragazzi senza speranza. Con molti timori. Tanto che per decidersi si è fatto un viaggio di sette mesi da solo in America Latina, dal Messico alla Bolivia. Ci ha pensato in solitudine e alla fine ha tratto il dado. Con Matteo, suo compagno scout; con Ciro, architetto più anziano; con Chiara, insegnante. E in pochi anni ha tirato su una cooperativa che all’inizio nessuno si sognava, Una bella struttura a due chilometri dalla Certosa di Pavia, Carpignano di Giussago. Mille metri quadri più duemilacinquecento di giardino, che oggi ospita una decina di ragazzi, più la “Casa Miriam”, a Pavia, con otto ragazze e alcuni locali per altri ospiti sparsi. “I soldi? Per incominciare ci abbiamo messo i nostri, poi ce li hanno dati le fondazioni e la Regione. All’inizio un contributo decisivo è venuto da un ragazzo, Camillo Penati. Una storia incredibile. Morì in motorino consegnando pizze a domicilio e aveva già deciso che cosa fare della sua eredità. Lo lasciò scritto in una lettera: l’uno per cento alla famiglia, il novanta per cento alla Caritas, e il nove a chi avesse trovato quella lettera. La signora che l’ha trovata ci ha regalato tutta la sua quota. Ci aveva visto solo due volte. ‘Se Camillo vi avesse incontrati forse non avrebbe fatto quella fine’, ci ha detto. Siamo partiti in nove. Ora i soci sono quindici. Dieci di loro lavorano qui, più altre dieci persone, molti volontari. Ragazzi ormai ne sono passati tanti, circa un centinaio. Un’umanità complessa e delicata. Anzi, ora ho maturato un po’ di distacco in più ma all’inizio ero davvero risucchiato emotivamente dalle loro storie. Ricordo Giovanni, per esempio (il nome è di fantasia, nda). Era nato in una comunità per tossici da genitori tossici e a quattordici anni ci era già finito pure lui. Un giorno fece uno scippo a piedi proprio davanti a una volante della polizia. Lo presero in un minuto. Che altro era se non una richiesta d’aiuto? Ecco, vede, noi lavoriamo proprio partendo da questa tesi, anche se sappiamo bene che oggi non è molto popolare: il reato è una domanda di aiuto che viene dal ragazzo. E noi dobbiamo raccoglierla, abbiamo il dovere di sbloccare i destini”.
Lamberto ha coinvolto ogni genere di professioni. Uno penserebbe solo avvocati e psicologi. E invece con Arimo lavorano architetti, paesaggisti, esperti del verde, decoratori, artisti, insegnanti. Ogni sapienza è necessaria per ricostruire adolescenze. E se mostrate qualche perplessità che una rapina possa essere una richiesta di aiuto, lui vi fa subito un altro esempio. “Molti ragazzi sono spaventati dall’idea di uscire da qui, di affrontare il mondo in autonomia. Avevamo notato che facevano di tutto per non farsi mandar via. Un ragazzo, arrivato il momento del congedo, fece in un giorno tre rapine. ‘Così, disse, starò qui ancora un paio d’anni’. Voleva essere aiutato. Ma noi non potevamo incoraggiare questi comportamenti, così abbiamo dato vita a un progetto bellissimo. Si chiama ‘Partire dalla fine’ e serve a occuparsi di chi ha chiuso i suoi conti con il penale. Ci chiamano, noi li seguiamo, cerchiamo di dargli l’aiuto di cui hanno bisogno”.
E la passione per la filosofia? Quella c’è sempre. Lamberto la insegna al Marconi, un liceo scientifico di Inganni, zona ovest di Milano. Ha chiesto il part time per dedicarsi alla cooperativa, anche se pure a scuola organizza attività sociali. Poi se ne va in cascina. “L’altro giorno un ragazzo mi ha chiesto ‘da quanto lavori qui?’ e mi è sembrato bellissimo. Fino a poco tempo fa non me l’avrebbe chiesto nessuno perché io e la cascina eravamo quasi la stessa cosa. Vuol dire che stiamo crescendo. Sa, i miei all’inizio erano preoccupati che mi infilassi in una avventura senza prospettive. Le prime volte che venivano in cascina si guardavano intorno, mi dicevano bravo ma io vedevo che avevano un groppo in gola. Ora invece sono molto orgogliosi di quello che ho contribuito a realizzare”. E questa domenica alla cooperativa, in via dei Platani a Carpignano, il grande appuntamento annuale. Una riflessione comune sulla giustizia minorile in Lombardia. Di là quelli che chiedono pene sempre più severe, di qua quelli che dicono che una rapina può essere una richiesta d’aiuto.
Nando
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