Zolle e web. E’ nato il nuovo contadino

Il Fatto Quotidiano

17 ottobre 2010

Ma la vogliamo smettere o no di parlare dei contadini come di gente che ha fatto, se va bene, la scuola dell’obbligo, tutti proverbi e superstizioni? Pigliate Andrea, per esempio, giovane, viaggiatore e laureato, e che per giunta è siciliano. Ascoltatelo, guardatelo, studiatene i modi di normanno gentile. E capirete che in lui brilla un’idea nuova, che scorre sotto la pelle dell’Italia ansiogena e zotica (lei sì) forgiata dai mass media e dei consumi. Incontrare Andrea Valenziani da Carlentini, provincia di Siracusa, è come rompere un uovo di Pasqua (i nostri stereotipi) e trovarci dentro la sorpresa. I nuovi contadini con una cultura superiore alla media. Le zolle di terra che si alternano a chiavette e skipe. Un rifiuto dell’individualismo urbano e una rete di solidarietà che tra un po’ cambierà le nostre vite.

Andrea coltiva agrumi con suo padre. Hanno trenta ettari di terra. Arance rosse di Sicilia, mandarini, limoni, arance amare, pompelmi. Non un prodotto soltanto. Serve a diversificare, che è la sua parola d’ordine. Diversificare significa stare “in produzione” da qui a maggio, perché cambiano le stagionalità. E significa dare lavoro continuativo per quasi tutto l’anno alla “ciurma”, che nel suo linguaggio è sinonimo di qualità. La ciurma raccoglie la frutta con perizia, senza devastare le piante come i cottimisti, che per fare in fretta lasciano tracce da lanzichenecchi. Andrea la campagna l’ha amata da bambino, quando suo padre, ex ufficiale di marina convertito all’agricoltura, e il signor Vincenzo gli mettevano nella mani il potatore o la zappa, che era per lui un giocattolo. Poi, fatto il classico, è fuggito a Londra: pub, trasporti, cucine. “Lì ti mettono in regola dopo due giorni e per chi viene dalla Sicilia è una soddisfazione”. Nostalgia dell’Italia, Sapienza di Roma dove ha preso la laurea breve in fisioterapia, infine a Milano per un anno di ricerca alla San Giuseppe, riabilitazione cardiocircolatoria. E qui, soprattutto, l’incontro con una società civile più ricca di idee, una signora che gli ha insegnato che cos’erano i Gas, i gruppi di acquisto solidale, e gli ha dato un libro da leggere. E’ stata la scintilla. Di nuovo in Sicilia, dove nella sanità proprio mai, ma a fare l’agricoltore sì, però con quella rivoluzione in testa. Basta con lo strozzinaggio dei grossisti. Basta vendere la propria produzione a qualche centesimo al chilo per poi ritrovarla sui mercati o all’Esselunga a prezzi moltiplicati per duecento. In fondo aveva scommesso male pure suo padre, che aveva cercato comunque la strada delle cooperative. Ma le cooperative fallivano, ci si metteva insieme ma non si rispettavano poi insieme i doveri e le responsabilità. Cambiare, dunque. Arrivare diritti ai consumatori, dargli arance biologiche o di qualità migliore, senza far salire i prezzi, qualche volta abbassandoli, e guadagnare di più. Almeno quel che consente a un’azienda di stare in piedi e di migliorarsi. “Ma lo sa che l’anno scorso sono arrivati a offrirci sette centesimi per un chilo di arance, otto per quelle già raccolte, quando a noi la raccolta costa sei-sette centesimi? Come si fa a sopravvivere in questo modo? I consumatori dei gruppi di acquisto invece pagano subito, a volte ti aiutano. Sono persone belle, che ci credono. Noi ormai vendiamo a loro il 19 per cento della nostra produzione, che in totale è di circa settecentomila chili. E’ il loro denaro che ci ha aiutato a restare in piedi, perchè la grande distribuzione, fra l’altro, non pagava”. Così si diversificano i canali. Una parte della produzione viaggia con i tir, si affitta il posto sopra e poi con uno o due passaggi al massimo si arriva al destinatario finale, la scuola media steineriana o il circolo Arci. Una parte viaggia per spedizioni dirette, dai venti chili in su, ma qualche volta anche da dodici. Una parte va a piccoli distributori, “ce ne sono alcuni che sono deliziosi, ci aiutano. Ce n’è uno a Roma che si chiama ‘Le Zolle’, e spiega ai suoi clienti chi siamo, la genuinità, la sostenibilità, la legalità, fa capire che c’è un valore alimentare ma anche un valore etico-sociale. Bisogna dire che quello che è successo a Rosarno con gli immigrati ha fatto aprire un po’ gli occhi. Io però mi chiedevo come la gente potesse pensare di comprare i pomodori a quei prezzi se non perché c’erano degli schiavi a raccoglierli”.

Andrea sogna la sua agricoltura ideale. Tanti piccoli distributori e tanti gruppi d’acquisto, viaggi di visita e studio in altre aziende, e viaggi degli altri verso l’azienda sua e di suo padre, dove spera si aggiunga presto anche la sorella, che fa la cancelliera in tribunale. “Mi piacerebbe che tutto entrasse in un sistema di relazioni più ricco. Agriturismo, gente che viene a lavorare un po’ con noi e noi che la ospitiamo. E poi vorrei diversificare ancora, portando qua gli animali”. Li enumera come gioielli gli animali che vorrebbe: il maiale nero dei Nebrodi, la capra girgentana, la vitella modicana. “Razze frugali, tutti animali che non devi pompare di cereali, con cui bisogna vivere in equilibrio, e d’altronde sono quelli della macchia mediterranea, arbusti e condizioni climatiche sono i loro. Poi è una catena: colture, fertilizzanti…”. Andrea, ma dove se l’è studiata la capra girgentana, e i sistemi di trasporto, e la meteorologia dei prodotti? “Da solo. Sono fondamentalmente un autodidatta. Compro libri ma soprattutto cerco e leggo su internet. Uso tantissimo il computer. E imparo viaggiando”. Ecco. Quando il contadino aveva fatto il militare a Cuneo…

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