Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Ettore, l’esperto in carrozzina
Il Fatto Quotidiano
21 novembre 2010
E vabbe’, sia il benvenuto De Amicis, perché i buoni sentimenti in questa storia c’entrano. Ma c’entra soprattutto che Ettore è un lottatore tosto, un intellettuale di trentanove anni che non si è fatto schiantare dai suoi problemi di abilità fisica. Da quel vaccino antipolio che a un anno lo ha condannato a una forma spastica senza rimedio, quasi tutti i movimenti fuori controllo. E ha ugualmente coltivato con ostinazione la vera, grande passione della sua vita: quella del cinema. Se la porta dietro da ragazzo, dall’università, una laurea in lettere alla Cattolica con tesi su Ugo Tognazzi. Anche se ha la parola difficile, che solo una lunga frequentazione rende decifrabile all’istante. Altrimenti ha al suo servizio due interpreti senza eguali, Giorgio e Vera, ovvero padre e madre. Che con levità traducono quel che Ettore vuol dire al suo interlocutore, aggiungendoci un soffio di voce che evapora all’istante: i film che ha visto, gli ultimi festival, quale attore, quale regista, quale scena, perfino le sfumature di ironia che lui fa lampeggiare dagli occhi con genio irriverente.
Giorgio, ex dirigente di banca, e Vera hanno assecondato la sua passione. Priorità assoluta. Hanno deciso che il figlio avrebbe dovuto essere compensato delle impari opportunità della vita regalandogli il più possibile lo studio e la frequentazione dell’ambiente più amato. Non solo la sala cinematografica, ma tutti i momenti magici, di fama mondiale o di nicchia, della storia del grande schermo. I festival, le rassegne, i luoghi in cui il cinema si vede, ma si vedono dal vivo anche i suoi protagonisti. Da più di vent’anni, da quando se lo portavano alle Grolle d’oro di Saint Vincent.
Non ci si può sbagliare. Gli amici sanno che quando Giorgio e Vera si assentano da Milano non è perché siano in vacanza. Semplicemente hanno accompagnato Ettore a un festival. Venezia, ci mancherebbe. Ma anche Courmayeur. O Taormina o Locarno o Torino. O Cannes. O Bari. Arrivano alle prime dei film in gara come accompagnatori. Contenti della sua contentezza. Lo hanno fatto un anno, poi un altro, e un altro ancora; e altri dieci e vent’anni. Nel frattempo gli attori e i registi hanno imparato a riconoscere l’esperto in carrozzina. Perché da un certo punto in poi Ettore ha iniziato ad arrivare con l’accredito di giornalista per questa o quella testata, questo o quel sito di settore. Si è fatto le ossa proprio a Saint Vincent, due corsi intensivi per critici cinematografici, dove ha conosciuto i fratelli Taviani. “Ma quello è Ettore”, è capitato di sentire esclamare con gioia da Marco Risi o Ettore Scola o Carlo Verdone, lettore attento, quest’ultimo, della sua tesi di laurea. Un giorno Enrico Vanzina gli ha dedicato pubblicamente il premio ricevuto a Saint Vincent. Mentre una volta, vedendolo arrivare, Mino Monicelli ha piantato tutti in asso per andare a salutarlo, lasciando i giornalisti a interrogarsi su chi fosse quel ragazzo così importante. Dopo i festeggiamenti e gli abbracci registi, attori, organizzatori, hanno incominciato anche a chiedergli pareri. Ad avvicinarsi a lui alla fine del film. Che ne pensi Ettore? Ettore dà i suoi giudizi, tradotti con il solito soffio da Giorgio e Vera. Le domande di pura cortesia di una volta sono diventate progressivamente richieste di recensioni volanti. Perché l’amico ritrovato ora collabora con “Quarto potere”, il giornale on-line nel quale riversa da anni le sue competenze e la sua sensibilità di spettatore speciale. “Il mio regista preferito? Diciamo che il mio cult è Dario Argento, per me il suo cinema è fondamentale. Il suo è il genere che mi appassiona di più, ho nel computer diversi soggetti noir scritti da me, spero prima o poi di realizzarli. Ma se posso, vorrei parlare di Corso Salani, un amico che non c’è più, ha recitato anche nel Muro di gomma. Lo ammiravo molto, se ne è andato giovane, è stato un attore importante ma soprattutto un grande documentarista, un regista raffinato e sensibile”. Ormai alle rassegne gli spetta quasi un posto d’onore. Giorgio quando vede l’accoglienza rivolta a Ettore pensa che forse il mondo del cinema non è poi così canaglia e cinico come si dice. E rivà alle migliaia di volte che l’amore del genitore si è riassunto nel gesto di prendere in braccio il figlio e accomodarlo in macchina e ritirarlo fuori e rimetterlo sulla carrozzella. Agli otto interventi chirurgici. O alle volte che ha salito con lui le scale della metropolitana milanese (causa ascensori rotti o inesistenti) tenendolo in braccio, la fatica boia che può fare un settantenne e la ironica complicità di Benigni che prende in braccio Berlinguer.
Da due anni Ettore è stato nominato membro di giuria in un festival cinematografico internazionale. Al Terra di Siena, diretto da Maria Pia Corbelli. Pare che vogliano chiedergli di entrare in giuria anche in un altro festival importante. Riceve biglietti e messaggi di complimenti da registi e attori. E scrive per la sua rivista godendosi questa svolta della vita con un pizzico di orgoglio. Sfodera la sua risata improvvisa e contagiosa. Dalla passione che doveva aiutarlo a sopportare meglio l’irriconoscenza della vita sta nascendo un nuovo critico della cinematografia italiana (“sottovalutata”, dice) “anche se personalmente credo d’aver fatto ancora poco di quello che mi son prefisso, cioè lavorare come regista o sceneggiatore”. Giorgio e Vera se lo osservano gongolanti. “Non montarti la testa”. E’ vero, sembra la classica storia a lieto fine. E’ vero, c’è profumo di De Amicis. E allora? Preferite Ruby?
Nando
Next ArticleLonate Pozzolo. E i moralisti scippatori