Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Natale in casa dalla Chiesa. Presepio alla frutta
Incredibile. Non si smette mai di fare qualcosa “per la prima volta”. Così posso annunciarvi con orgoglio che per la prima volta in vita mia, ossia da quando avevo quattordici anni, ho finito il presepio l’antivigilia di Natale invece che arrivare con le ultime manciate di farina alle otto di sera della vigilia, per la disperazione (negli ultimi trentatre anni) della biondina. Che senso di pace, come ci si sente buoni… E’ un presepe bellissimo. Diverso dal solito. Il mio amico Domenico Graziano, con cui ci siamo visti due o tre volte nella vita ma a cui sono legatissimo, mi ha fatto avere Gesù Bambino, Maria e Giuseppe e pure i tre magi confezionati sui 25 centimetri di altezza da una signora inglese, che per ognuno ha realizzato abiti di lana colorata -scialli, mantelli, turbanti- lavorando a uncinetto. Una cosa fantastica. Il resto ha dovuto prendere sfondi, prospettive e popolazione conseguenti. Tutto più grande, in mezzo a fogliame e rametti a far da grotta; ma senza rinunciare, grazie a una via di fuga dal camino verso la libreria, alle statuine che hanno accompagnato la mia vita, a partire dalle scale di sughero con chiodo buca-pollice costruite da mio padre. E poi soprattutto, udite udite, il presepio si è riempito di frutta. Frutta vera. Perché il presepio è sogno, ma anche semplicità, genuinità del rapporto con il mondo, sublimazione del creato, il quale offre tutte le sue ricchezze alla divinità che scende in terra. E io penso (quante volte l’ho scritto?) che uno dei segni del nostro declino antropologico è che nelle trattorie di campagna, non dico nei ristoranti di lusso, non c’è più la frutta (fa eccezione la civilissima Romagna). Ananas, solo ananas. In ogni stagione, con qualsiasi tempo. Anche se hanno gli orti e i frutteti gonfi dietro la finestra. Che frutta ha? Ananas, signore; al massimo fragole. La gente ordina contenta “ananas” senza capire la profondità dell’offesa, la privazione somma che le viene inflitta. Così il mio presepio è diventato luogo di contestazione. Come quello anticonsumista che feci nel ’68 o quello pacifista del ’90. E’ il presepe della natura e delle stagioni. Vi fanno splendida mostra -e non vi dico con che effetto cromatico- arance, clementine, limoni, bacche, perfino un melograno rosso e turgido. Domani sera (giusto per non perdermi la vigilia) azzardo pure una mela. Gesù Bambino gradirà quella esplosione di colori; e certo non chiederà l’ananas.
Intanto, visto che parliamo di cose e mondi veri, lasciatemi dedicare due righe di nostalgia e di affetto a Enzo Bearzot, grandissimo allenatore che un giorno mi onorò della sua stima. Uomo dignitoso e fiero a cui, pur avendo vinto i mondiali, nessuno pensò per fargli dire due parole ogni tanto in televisione. Che grande Italia ci diede, dall’Argentina in avanti. E che bello il necrologio di Tardelli, firmato semplicemente “Coyote”. E chi se lo dimentica… Anche perché, da lì a due mesi, mi sarebbe cambiata la vita. Ma questi son fatti miei. Dài che è Natale, più frutta per tutti.
Nando
Next ArticleManiero e le buone maniere (e bravo Lucarelli!)