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Ma Libera non è un partito. Su don Ciotti che parla agli amministratori leghisti
Gran fermento nel mondo dell’antimafia. In qualche angolo politico e telematico girano accuse inverosimili nei confronti di don Luigi Ciotti. Che si sarebbe macchiato, agli occhi di qualcuno, di una colpa grave: avere accettato l’invito di Maroni di andare a parlare a un’assemblea degli amministratori leghisti. Dice che non doveva. Che i leghisti sono portatori di una cultura incompatibile con quella di Libera. Che non doveva dire in quella sede che l’antimafia non è di destra né di sinistra. Io invece credo che don Luigi abbia fatto benissimo. Chi c’era (persone di cui mi strafido) giura che non ha affatto annacquato il suo vino. E allora, mi chiedo, qual è il problema? Che la lotta alla mafia non sia né di destra né di sinistra personalmente lo ripeto da quasi trent’anni. Da quando quel vero liberale di Montanelli cercò di svilire le mie accuse agli andreottiani di Sicilia dipingendomi a tutta prima pagina come “il figlio comunista” di dalla Chiesa. Da allora capii che bisognava essere capaci di tirarsi fuori dall’angolo in cui volevano schiacciarci. E dialogare con Martinazzoli, con l’Avvenire, con i galantuomini di destra e anzi cercarli ovunque. E in ogni caso dare la percezione nettissima a ogni persona di buona volontà che stare contro la mafia non doveva significare riconoscersi in uno schieramento politico. Venni accusato pure per le aperture all’allora ministro degli interni Oscar Luigi Scalfaro (“ma non si può spingersi fino a quel punto! È un cattolico integralista! Ma lo sai che prese a ceffoni una donna in un ristorante perché era troppo scollata?”).
Pensavo che l’avessimo capito tutti. E invece no. Torna con Libera l’idea di trattare un’associazione civile come un partito politico. Mi era capitato di gettare l’allarme già all’ultimo “Contromafie” a Roma l’anno scorso. Applausi tonanti a chi la sparava più grossa. Dissi che sentivo clima da partito, che ero in grado di prevedere perfettamente ogni applauso, che la crisi di credibilità dei partiti esponeva Libera a un rischio di snaturamento; o di travisamento dell’immagine. Mi si obietta: ma proprio i leghisti… Certo, i leghisti sono portatori di una cultura antitetica a quella di don Ciotti o alla mia. Ma se in quel consesso un leader civile può buttare un seme, può aprire un varco, specie in un momento in cui la Lega è sotto accusa per non muovere un dito contro la ‘ndrangheta, deve rifiutarsi? Le sue parole sulle leggi contro i clandestini le ha ben dette, mica ha taciuto. Come bisogna riconoscere a Maroni alcune cose buone (l’istituzione dell’attesissima Agenzia per i beni confiscati, bilanciata però dalla pessima legge sulla vendita all’asta degli stessi beni). Amici, sapete quanti bocconi si ingoiano per fare andare avanti le proprie idee, specie se sono civili e non partitiche? Davanti a quanti cretini o personaggi inaffidabili devi parlare per raggiungere qualche persona in più?
Ne ho discusso civilmente ieri sera anche con Riccardo Orioles che nel cuor mi sta. Altri ne discutono meno civilmente. Sì, sono leghisti quelli che hanno annullato a Ponteranica l’intitolazione della biblioteca a Peppino Impastato. Ma se incontrare don Ciotti servisse a valutare meglio (e con minore senso di estraneità/ostilità) il patrimonio umano e storico dell’antimafia? Perché dividersi sempre? Perché (vedere il dibattito nell’Italia dei Valori, aveva ragione Alfa10…) morire dalla voglia di trovare il “traditore” nelle proprie file? Attaccare don Ciotti poi, secondo me, apre un altro capitolo a parte. Vedere la vita e il bene che fa, prima di parlare…Saveria Antiochia soleva ricordare un proverbio di non so quale tribù indiana (sioux?): prima di giudicare una persona prova a camminare per due lune nei suoi mocassini…
Nando
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