Piantare i semi della Costituzione in terra di Lega

Il Fatto Quotidiano

23 gennaio 2011

Hai capito il teologo…Zitto zitto ha trovato la sua personalissima via alla rivolta civile. Nessuna teologia della liberazione. Semplicemente Pietro Palumbo ha deciso di ribellarsi al diktat di Brunetta sulle pensioni. Tutti via dopo quarant’anni di contributi, ha tuonato il ministro la scorsa primavera. E lui che quel traguardo l’ha raggiunto nel 2010 e compie sessantadue anni a febbraio ha deciso invece che non avrebbe smesso affatto di insegnare. Non solo il fisico è integro e pimpante, ma anche lo spirito è quello di un quarantenne che ha voglia di stare con i suoi giovani allievi e di trasmetter loro i frutti dei suoi studi. “La legge è quella e non c’è verso di restare nella scuola pubblica. Chiaro. Ma io la trovo offensiva per il buon senso e soprattutto contraddittoria con i princìpi sbandierati da questo governo. Ma come, è da decenni che ci fanno una testa così con le pensioni baby, che siamo l’unico paese d’Europa (siamo sempre l’unico paese d’Europa…) in cui non si va in pensione a sessantacinque anni, che ormai si campa di più e quindi bisogna prolungare anche l’attività lavorativa, che per colpa di chi smette a sessanta saltano i conti pubblici, insomma, hanno fatto una litania che non finiva più contro i sessantenni lazzaroni e poi di colpo ti ordinano di andare in pensione anche se non ci vorresti andare…Io sarei rimasto ancora per anni al mio liceo scientifico, al ‘Girolamo Fra’ Castoro’. D’accordo, non è un nome glorioso, Fra’ Castoro era un tipo a metà tra il mago e lo scienziato che fece ricerche importanti sulle malattie veneree. Ma è un bel liceo. Avrei voluto continuare a stare con i miei ragazzi, io la scuola l’ho sempre vissuta come una missione. Una mia collega appena più giovane di me, che per ragioni familiari se ne sarebbe andata di corsa invece è costretta a stare lì controvoglia. Dicono che sburocratizzano e invece è l’apoteosi della burocrazia, libere scelte e meriti personali non contano nulla”.

Già, in effetti il teologo in pectore si è dovuto “accontentare” tutta la vita di storia e filosofia. Materie in cui ha sempre primeggiato, peraltro. Dal liceo classico all’università; studente modello ma anche eccentrico, ricco di curiosità nella Palermo degli anni sessanta e settanta, la città che gli ha dato speranze e dolori. “Sì, dopo essere venuto a Verona a insegnare, ho avuto una pausa di ritorno a Palermo. Poi, dall’80, è stata Verona per sempre. A volte mi interrogo se ho fatto bene o male, se è stata una fuga oppure no. In ogni caso la mia parte l’ho fatta, non sono un pentito. Se ho sentito a scuola l’esplosione della Lega? E come non sentirla…I ragazzi qui sono spesso naturalmente leghisti. Per cultura prima  che per scelta politica. Per abitudine a semplificare tutto, ad accettare ogni semplificazione, anche la più aberrante. Ma io i miei semi ho cercato di metterli: lavori sulla Costituzione, sulla pace, sulla legalità, sulla tolleranza, sul diritto al lavoro. Corsi sui giorni della memoria, soprattutto. Insomma, quello che hanno fatto generazioni di insegnanti. Semmai mi ha colpito in questi decenni vedere evaporare tanti insegnanti di sinistra. Inizialmente erano i più bravi. Impegno ideologico, spessore teorico. Mi trovavo in contrasto con loro per la mia idea della scuola come missione, loro insistevano sulla professionalità ed era una posizione che capivo comunque, volevano difendere la dignità dell’insegnante come lavoratore qualificato. Il guaio però è che di fronte ai marosi dei tempi si sono eclissati uno dopo l’altro, quasi tutti. Appena potevano, via in pensione”.

E la ribellione a Brunetta? “Semplice, sono stato chiamato dalla preside di un liceo linguistico, il San Carlo, dove insegno storia e filosofia a una classe. Vede, non è che mandandoci via hanno liberato posti per i giovani, perché forse al mio posto sarebbe venuto un giovane. Semplicemente hanno alleggerito le buste paga agli insegnanti pubblici, che ora hanno un’ anzianità più bassa, e hanno trasferito i costi sul sistema previdenziale, come per decenni hanno predicato che non bisognava fare. Una partita di giro per far vedere che i conti del ministero vanno meglio, ma poi paga sempre lo Stato. O no?”. Tutto qui, professore? “No”, sbotta a ridere di gusto con una solarità che cattura, “lo vuol sapere? Finalmente insegno ai seminaristi. Sì, insegno filosofia al seminario vescovile. Mi occupo delle vocazioni adulte, dall’ex camionista al veterinario, tutte persone al di sotto dei trentacinque anni. La teologia? Certo, sotto pelle c’è sempre. Sant’Agostino e San Tommaso, quelli non me li dovete toccare. Ma in realtà il mio corso è propedeutico proprio a quello di teologia. E’ una bellissima esperienza. Libera, senza le formalità scolastiche. Si resta anche a cena insieme, si fanno vedere film interessanti e li si discute. Si spazia su tutto, dalla caverna di Platone ai Cento passi di Giordana. E poi posso dare sfogo alla mia passione per Maritain, Simone Weil e Mounier, al mio esistenzialismo cattolico.”

“Palermo? Ci torno, con Nadia, mia moglie. Medito sulla fuga della mia giovinezza. Ma mi stringe il cuore soprattutto vedendo che la fuga non si ferma. E’ un’emorragia di cervelli, i ragazzi vanno via tutti, e quelli dei nostri ambienti non partecipano più alla vita sociale, politica o religiosa della città, delusi anche dall’antimafia. Mentre qui trovi quelli del volontariato che votano Lega. Che bisogna fare? Mi hanno mandato via dalla scuola pubblica, ma io la mia lotta contro la banalità continuo a farla. Se davvero sono scappato quando avevo trent’anni, ora che ne ho sessanta non scappo più”.

Leave a Reply

Next ArticleStasera alla Bocconi. Come scorre la storia (quella vera)