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Amalia, sindaco alla “Rivalta” che investe sulla cultura
Il Fatto Quotidiano
13 febbraio 2011
E’ raffreddata, la sindaco. Temperature polari e tepori primaverili sono un pessimo cocktail anche per lei, che è un vulcano di idee e di progetti. E non si ferma certo per un avviso di influenza. Amalia Neirotti è la prima cittadina di Rivalta, provincia di Torino, dal 2002. Se c’è una persona che proprio non sa che cosa siano il riflusso o le crisi esistenziali, è lei. Macina politica senza sosta da ragazza. Da quando, era il ’75, fu proposto a lei e a suo marito di candidarsi alle comunali. Era una coppia da vetrina. Tra impegno culturale, sociale, in parrocchia, simboleggiavano la protesta giovanile in procinto di passare alla buona amministrazione riformista. Glielo chiesero, in contemporanea, la Dc, il Psi e il Pci. Inutilmente. Amalia entrò in consiglio comunale dieci anni dopo, come indipendente del Pci. Poi sarebbe stata una presenza fissa nelle istituzioni locali. Maestra elementare -nel cassetto una tesi in lettere che attende di essere finita da trent’anni-, si era buttata a capofitto nella gestione della scuola. “Ho imparato lì ad avere lo sguardo sugli scenari ampi, ad andare oltre il perimetro del mio comune. Fare per dodici anni la presidentessa del distretto scolastico a quei tempi significava partecipare a progetti di respiro, programmare stando sempre attenti ai cambiamenti, scrutando gli orizzonti. Dove metti il liceo scientifico, che tipo di scuola tecnica apri, e poi la grande riforma: l’inserimento dei bimbi disabili. E’ stato uno dei miei impegni prioritari. Mi è servito per confrontarmi con donne che avevano storie difficili, terribili, e anche per autocompatirmi meno dopo che mio marito se ne era andato in pochi mesi, un tumore fulminante ”.
Amalia racconta e mostra il piglio gentile e solidissimo che le è valso la presidenza dell’Associazione dei comuni piemontesi. Una vaga rassomiglianza con la Bonino, un eloquio altrettanto sciolto della Emma radicale, il cellulare appeso a una striscia tricolore. Ha due figlie. La prima, sociologa, un anno fa l’ha resa nonna orgogliosissima di Camilla. La seconda se ne sta partendo per l’Australia con il suo compagno, in cerca di lavoro e novità. “Mi hanno aiutata tutte e due, anche facendo in piazza le cose più strane. Un giorno, durante una campagna elettorale, ebbero un colpo di genio. Una grande foto del nostro cane lupo, con una scritta: noi non strumentalizziamo il nostro pastore tedesco”.
In tempi in cui la politica mostra volti a brandelli o tumefatti, qui a Rivalta si respira aria di amministrazione con la testa sulle spalle e valori inossidabili. Se altrove si costruisce a gogo e i beni culturali sembrano diventare un optional da perdenti, qui si cerca tenacemente di riusare il costruito che c’è, a partire da quello di pregio. Già il predecessore di Amalia aveva trasformato il vecchio mulino in un luogo di incontro culturale per giovani. Poi lei ha lavorato sul vecchio e splendido monastero cistercense, del Mille o giù di lì. Un restauro costoso, partito dalla cappella e dal piano terra e che offre al visitatore un impatto suggestivo e sorprendente con il posto. Dici Rivalta, infatti, e invece di un’abbazia di sogno ti viene in mente il grande stabilimento della Fiat aperto nel ’67. Era arrivato fino a 22mila dipendenti, un esercito operaio. Ecco, non c’è più niente. Solo un quinto del vecchio spazio produttivo preso dalla Avio. Per questo il riuso viene legato a un’altra idea di sviluppo e di Rivalta. Storia, beni culturali, circuiti agrituristici, nuove generazioni di imprese. Il monastero, dunque, ma anche il grande castello Orsini, passato di proprietà al Comune nel 2006. Scetticismo dei cittadini, il sospetto dei soldi buttati. E invece arriva il progetto della giunta di farne sede della grande biblioteca comunale e di mostre d’arte contemporanea dalla carica provocatoria: foto proiettate su panni stesi o architetture di tubi di scarico arancioni che emettono i rumori di una casa, come a evocare “Le città invisibili” di Calvino. Non solo. In tempi di smaltimenti facili qui si è vinta una difficile guerra contro l’inquinamento prodotto da due fabbriche, la Oma e la Chimica Industriale, inceneritori che mandavano veleni nell’atmosfera, 9.500 tonnellate di rifiuti pericolosi stoccate nelle due aziende. Qualche forzatura amministrativa per neutralizzare il rischio della bomba ecologica e smaltire secondo legge, ed ecco che l’area, grazie a un concorso di idee ormai giunto al traguardo, diventa luogo di loisir, di tempo libero e di ricerca. E infine l’acquisizione della Cascina storica sulla collina morenica, oggi minacciata dalla Torino-Lione e già materia per diverse tesi di laurea. Un progetto di agriturismo che interessi le cascine storiche di tutta la zona.
“Vede, qui dobbiamo promuovere l’associazionismo tra i comuni. E’ il mio obiettivo numero uno come presidente dell’Anci piemontese. Ma lo sa che abbiamo ventiquattro comuni sotto i cento abitanti e seicentoquaranta comuni sotto i mille? Siamo frammentati, e nella frammentazione non si risolvono i problemi. Vuol sapere il mio desiderio più grande? Una cabina di regia. Proprio quello che ci manca in Piemonte. E’ da anni che ricevo persone che hanno perso il lavoro, e dopo il lavoro l’abitazione. La crisi colpisce le famiglie, noi abbiamo bisogno di politiche che pensino al futuro. Questo per me significa forze politiche ‘responsabili’. Chiedersi che diavolo faranno i giovani di questi comuni”. Già, i comuni dove una volta c’era la Fiat e dove ora tocca ai sindaci come l’Amalia immaginarsi un’altra economia. La crisi è cosa loro.
Nando
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