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Le sentinelle marchigiane. All’ambiente ci pensano le donne
Il Fatto Quotidiano
13 marzo 2011
Sono l’araba fenice delle Marche. Spariscono e rinascono dove meno te l’aspetti. Avete presenti quei politici che rispuntano sempre fuori, consigli comunali, parlamento, municipalizzate, fondazioni bancarie o università? Ecco, loro sono lo stesso. Solo che lo fanno nelle associazioni civili. Non per soldo e per poltrona, ma per difendere qualche buon principio. E, in fondo in fondo, sempre con il perfido gusto inconfessato di disturbare il manovratore.
Tutte donne. Olimpia Gobbi, Stefania Acquaticci, Paola Massi, Diana Piotti, Mery Pazzi… Signore colte che chi ha frequentato le Marche negli ultimi vent’anni ha sempre ritrovato nei luoghi dell’ impegno o della rivolta civile. Chi scrive ha imparato a conoscerle nei suoi viaggi (una di loro è pure parente di un suo parente): Ancona, Ascoli, Fermo, San Benedetto del Tronto. Legalità, scuola, informazione e ora soprattutto ambiente. Dai girotondi di piazza Navona al fotovoltaico che devasta le dolci colline della regione. Eccole dunque, in questa nuova reincarnazione sociale, a perorare la causa di un arcipelago di comitati civili e ambientali con la propria ultima creatura, “Luoghi Comuni”. Eccole puntare l’indice contro Regione e perfino Lega Ambiente, a loro avviso troppo a lungo consenzienti con quello che sembrava il nuovo destino delle Marche: diventare il Far West degli impianti fotovoltaici nelle aree rurali, per la disperazione di un nugolo di imprenditori agricoli. “Una posizione prevenuta? Per nulla”, replica Olimpia -e mai nome fu più calzante- presidente dell’associazione, l’unica che per qualche tempo si è prestata alla politica. “Si tratta semplicemente di controllare gli stessi amministratori che abbiamo contribuito a fare eleggere. Di non delegare una materia specifica ma decisiva per la qualità della vita ad alcuna associazione, per quanto prestigiosa. C’è bisogno di mettersi insieme, al di là delle singole urgenze, nel presidio dei beni comuni attaccati dagli interessi economici più forti”. Ultimamente nelle Marche questi comitati sono venuti su come funghi. Ce n’è una sfilza. A Falconara per contrastare il rigassificatore e la megacentrale. A Porto Recanati, Corinaldo, San Severino e Jesi contro le megacentrali a biomasse. A Fermo pure . Nella Valdaso contro il fotovoltaico in zone rurali. A Monterubbiano contro la cementificazione. A Castel di Lama contro le polveri sottili nell’aria. A San Benedetto per un Piano regolatore a crescita zero. Senza contare il coordinamento Paesaggio Marche per la tutela del paesaggio e il consumo del suolo, animato da Paola (che ha un agriturismo biologico) e da un combattivo architetto, Riccardo Picciafuoco. “Luoghi Comuni” -radicata soprattutto nel Piceno, area sud della regione e accento marchigiano da imitazioni- cerca di sostenere e collegarsi con queste esperienze, e a sua volta di immettere i temi locali nel circuito nazionale attraverso Democrazia Km Zero, il movimento che ha contribuito a promuovere.
“Mettiamola così: si continua a parlare di cittadinanza attiva? Ecco, noi la pratichiamo”, si inorgoglisce Stefania, creatrice a Monterubbiano di una fondazione, “Diversoinverso”, e che ha nella sua casa un teatro dove ospita spettacoli e assemblee. Solo che la cittadinanza attiva, quando è attiva per davvero, è un po’ più scomoda del modellino che si insegna a scuola. Per questo a volte siamo costretti a entrare in rotta di collisione con i nostri stessi eletti. Mentre magari ci incontriamo con tanti contadini di destra in un’alleanza trasversale. E non creda che non abbiamo proposte. Anzi. Alcune sono state fatte proprie dagli enti locali. E in qualche caso con il voto contrario dei nostri eletti. Regolamenti comunali e varianti restrittive delle possibilità di aggressione all’ambiente. E poi raccolte di firme per leggi di iniziativa popolare. O modifiche di statuti comunali in favore della partecipazione dei cittadini, grazie alla presenza nell’associazione di alcuni sindaci”.
Gratti un po’ ed esce la cultura, la voglia di simbologie di chi ha lavorato a lungo nei movimenti. “Guardi qui, il segno identificativo della nostra associazione è una casa. Metafora dell’universo, casa di tutti. Luogo e non spazio”, affabula Mery. “Luogo comune e non pubblico. Che perciò non si contrappone al privato, poiché anche il privato e il biografico personale possono essere bellissimi; luogo non presidiato da enti ed istituzioni, non ordinato secondo gerarchie di scranni e prime file, ma aperto ed orizzontale, circolare e diretto, dedicato all’incontro fra persone che si guardano negli occhi, amano conoscere ed hanno a cuore il futuro. Proprio come la casa comune di Stefania, aperta a tutti”. Ascolti e non sai se ti trovi davanti a un’Heidi adulta o a una sperimentatrice di linguaggio socio-politico.
Loro la chiamano “democrazia insorgente”, la contrappongono alle “gabbie autoreferenziali” dei partiti, sostengono che questa sia la scommessa da giocare nella società della crisi democratica, ambientale e finanziaria globale, nel mondo in cui la politica, tutta la politica, ha dimostrato la sua sudditanza agli interessi del mercato. Ci credono a tal punto che una di loro, Diana, una che ha fatto impresa sociale in America latina, lotta contro il consumo del suolo pur essendo agente immobiliare. Chissà se è l’ennesima utopia o l’inizio di una strada praticabile. Certo è che passano gli anni, giri l’Italia e trovi anche qui qualcuno che, invece di dirti con la sufficienza del reduce “ho già dato”, continua a provare strade nuove. Sempre con ostinazione, sempre con l’idea che ne vale la pena.
Nando
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