Libera a Potenza. Potenza di Libera. E il bello dell’Unità

Potenza, dicevo nel post qui sotto. E’ stata una grande esperienza. Eravamo con certezza quaranta-cinquantamila. Veri, dico. Mi emoziona sempre vedere i tornanti di salite e discese, le lunghe strade pullulare di bandiere di Libera. Vedere quella scritta su fondo arancione o rosa o giallo oscillare al vento mezzo metro sopra la testa riccioluta di un ragazzo o una ragazza. Mi riempie di senso la vita riincontrare certe persone con cui so che stiamo lavorando insieme, per la stessa causa, sparsi per tutte le provincie d’Italia. E anche cogliere quell’atmosfera di allegria tra i familiari delle vittime. Familiari che se fanno un nome, il “loro” nome, gli si aggroppa la gola e non riescono a finirlo, ma che poi sanno congratularsi felici l’uno con l’altro per i matrimoni in arrivo o per i bambini annunciati e che verrà inevitabilmente chiesto a don Ciotti di battezzare (e lui ci andrà, anche se dovesse svegliarsi alle quattro). Perché proprio a Potenza, hanno chiesto in molti. In effetti è stata una faticaccia pazzesca, e questo dà un valore triplo a quei cinquantamila. Risposta plurale: perché la Basilicata era rimasta l’unica regione del sud profondo a non essere stata sede della giornata dalla memoria; perché lì la mafia e le sue cugine stanno arrivando in un clima vischioso e silenzioso; perché troppi lì sono i casi di persone scomparse, indice comunque di un clima di omertà diffuso; e perchè lì il rappresentante di Libera, don Marcello Cozzi, che con vigore ha denunciato pericoli e presenze, è oggetto di minacce e denigrazioni (cartelli contro di lui sono stati appesi subito dopo la manifestazione), ed era giusto mostrare a tutti quale sia la forza che ha dietro. Pensate che le donne si erano riversate nei supermercati il venerdì, temendo la manifestazione del sabato. Meglio non uscire, girava la voce che in città sarebbero arrivati duemila black-bloc (ossia i genitori dei poliziotti uccisi…).

Don Luigi si è superato, non l’avevo mai sentito così accoratamente indignato. Non solo la mafia, ma l’acqua bene pubblico, la scuola, ecc. Si è preso accanto la mamma di Elisa Claps, piccola, piccolissima e indomita, e l’ha indicata a tutti come un esempio da proteggere. Ho rivisto Gino Strada che sta presentando in Italia la nuova rivista di Emergency. E Caselli che c’è sempre, con la sua “superiore”, ossia la moglie Laura, come diciamo noi. E Antonio Ingroia, a cui ho intimato di non applaudire i passaggi sulla giustizia (“non vogliono riformare la giustizia, gridava don Ciotti, la vogliono sequestrare”). Un pm non applaude, gli ho detto. Domenica mattina ho fatto un’assemblea con gli scout della regione, bella assai (l’assemblea). Poi il ritorno. Tutto rigorosamente sotto la pioggia, alla faccia della desertificazione.

P.S. Mi sono goduto la giornata sull’unità d’Italia. Mercoledì mattina -bell’incontro in una scuola a Gazzada- ho visto imbandierato il varesotto, ossia il forziere della Lega. A Milano spiccava la bandiera della biondina, che ha egemonizzato la via (subito altre a ruota). Tricolore ovunque, gli italiani ci sono, ora bisogna fare l’Italia. Bello spettacolo teatrale a Roma, teatro de’ Servi: mi ci ha portato Dora, andateci anche voi. “Minchia signor tenente” si chiama, scritto da Antonio Grosso, laureato Dams e figlio di un maresciallo della Benemerita. Grande comicità per tre quarti e tuffo nel dramma alla fine. Storia di mafia, di giudici e di carabinieri normali. Storia d’Italia.

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