Franca Caffa, ragazza di periferia

Il Fatto Quotidiano

3 aprile 2011

Benedetta ragazza. Ancora non la vuol smettere. Diteglielo che la guerra è finita, che di giapponesi nella jungla non ce n’è più. Che oggi è l’epoca del lusso e del divertimento. Che non è aria da comitati inquilini. Il guaio è che la ragazza lo sa benissimo ma è  testona. Ogni giorno arriva dalla parte opposta della città, zona Bonola, con un paio di mezzi pubblici e si piazza nel quartier generale del Comitato inquilini Molise-Calvairate-Ponti, sulla circonvallazione più esterna, zona est di Milano. Un ufficio a pian terreno. Quattro stanze su due livelli diversi più cucina. In affitto dall’Aler. Suoni il campanello dalla strada e qualcuno ti avvicina chiedendo soldi per le medicine. Entri e una voce dalla tromba dalle scale ti intima di chiudere il portone, perché qui può entrare chiunque. Dentro, alcuni volontari che stropicciano le funzioni più diverse. Franca Caffa è il cuore di questa esperienza che abbacina e stupisce chiunque la incontri. Siamo in una delle zone più degradate della grande metropoli della moda e del turismo d’affari, la città per antonomasia di escort e calciatori. Case popolari lasciate andare in malora, cortili dove si aggira una varia umanità, anziane signore che al tramonto si auto-impongono il coprifuoco, persone afflitte da disagi mentali di ogni tipo concentrate qui con assistenza a domicilio a zero ore. Ogni tanto urla terribili dalle case, può essere una lite da coltellate o il lamento straziante di un essere umano disperato di solitudine. Allora accorre una custode coraggiosa insieme con quelli del comitato.

“Lo vede?”, Franca punta addosso gli occhi come spilli di brace, “questa è la vita vera in tanti pezzi di Milano. La vita delle case popolari dove non c’è assistenza sociale, dove si insediano i criminali e li lasciano stare. Lo sfratto lo danno ai poveri diavoli, ma io ricordo bene quel mafioso a cui lo sfratto non lo dava nessuno e faceva quel che voleva. Qui c’è un disagio mentale che non si ha idea. Guardi qui questa foto, la spazzatura, gli abiti a terra, sembra un’abitazione dove siano passati i vandali. Invece è la casa di un malato mentale così come l’abbiamo trovata un giorno, nella sua normalità”. In effetti fa impressione. Franca parla dei quartieri periferici, dei poveri, del capitalismo marcio e prepotente.  Usa talora un linguaggio che sembra ripescato dalle ideologie più vetuste. Ha fatto anche la consigliera comunale per Rifondazione comunista. E il linguaggio era quello giusto. Ma c’era qualcosa che la rendeva diversa: la coerenza assoluta tra le parole che usava e le cose che vedeva ogni giorno. E anche qui, in via degli Etruschi al numero 1, mentre parla è come se quel vocabolario prendesse gradualmente, come per magia, una sua impensata attualità. Parla, la ragazza ormai cresciuta, e volentieri. Teme sempre che il suo interlocutore non capisca fino in fondo la gravità di racconti e denunce. Se si arrabbia, tracima dall’anima il genovese, la sua lingua natia. Con le lingue d’altronde va veloce, una volta faceva la traduttrice per Rizzoli.

“A lei interessa tanto la lotta alla criminalità, vero? Ma qui noi la combattiamo ogni giorno. La criminalità si infiltra negli appalti e nei luoghi alti della gestione, spaccia, impone le sue regole alla luce del sole. Come vuole che vengano su i ragazzini in ambienti e caseggiati come questi? Ecco, li vede quei tavolini? No, non sembra un’aula scolastica, é un’aula scolastica. Quando non facciamo sportello per gli inquilini, ci teniamo i doposcuola. Tagliano il tempo pieno e noi aiutiamo i bambini e i ragazzi a fare i compiti con i nostri volontari. Un centinaio lavorano gratis, molti sono studenti universitari; dieci invece sono pagati -poco, mi creda- con il sostegno della fondazione Cariplo. Gli alunni? Sono più di un centinaio, soprattutto immigrati di colore. E’ il posto degradato di Milano dove c’è meno devianza minorile. Niente bande, diversamente dagli altri quartieri a rischio. Lavoriamo insieme con le parrocchie, San Pio V e Sant’Eugenio, per difendere la dignità di queste vie. Certo, rimediamo alla distruzione dello stato sociale. Lo so anch’io che facciamo un favore alla Moratti perché rendiamo più sostenibile il disagio e la povertà, ma che cosa dovremmo fare?”. Già, bella contraddizione quella vissuta di questi tempi dagli uomini e dalle donne di buona volontà. E dev’essere forse per qualche inconscia gratitudine se il Comune le ha dato l’Ambrogino d’oro.

Franca ogni tanto ha un lampo di allegria. Che arriva imprevedibile quando immagina qualcosa che possa aiutarla nella anacronistica missione a cui si è dedicata. Ad esempio quando espone il sogno a cui sta lavorando, insieme con le parrocchie e con tre onlus (la principale è l’associazione Luisa Berardi, anche lì doposcuola): fare istituire un anno europeo “per la riqualificazione dei quartieri di degrado e di esclusione delle periferie urbane”. Obiettivo, dice il progetto che mostra con pudico orgoglio, trasformare “i ghetti urbani in luoghi di dignità, di bellezza, di cultura, di fratellanza”. Le periferie urbane che diventano regine di un anno europeo. Roba da non crederci. Brillano gli occhi a questa ragazza che non ne vuol sapere di arrendersi ai tempi, lei che di anni ne ha ottanta e passa. Ha sperato un giorno di vedere il mondo rovesciarsi con una rivoluzione. Ora cerca di renderlo un po’ più bello a chi non sa o non può difendersi dalle sue violenze. Sissignori, con un comitato di inquilini. Molise-Calvairate-Ponti, circonvallazione esterna, Milano est.

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