Soffio di glicine e Valle dei Templi. E consigli a gogo

Nel giardino dietro casa è tornato il glicine. Compagnia primaverile di pochi giorni, segnale di vita, soffio delicato, aveva un senso diverso quando i gracchi erano bambini. Allora glielo facevo vedere: hai visto il glicine che è tornato?, era come insegnargli la vita. Ora lo guardo e ne provo tenerezza soprattutto per i ricordi che libera in un secondo. Come il sole che tramonta alle otto. Sembra che lo faccia d’improvviso e invece c’è dietro una lunga marcia attraverso le settimane. Un po’ come le nostre conquiste. Un esame, un concorso, la vittoria in un referendum (ricordi lontani), il successo di un libro, la nascita di un giornale. Si manifestano d’incanto, si legano a un giorno di allegria collettiva. Dietro, in genere, sta la vita scalata con le mani. E davanti pure.

Visto che sono in vena di saggezze da tinello (che altro è un computer aperto?), vi do alcuni consigli. Il più urgente, per amici e parenti e possibili estimatori, è di verificare bene gli annunci delle mie presenze in questa o quella città. Ieri sera per esempio ero dato a Bastia (Corsica, mica sverze) con tanto di foto sui giornali. Giuro che non ne ho mai saputo niente e l’ ho dovuto dire a chi chiamava per incontrarsi “visto che stasera sei qui in Corsica”. Quale agenzia avrà mai spacciato la mia partecipazione a degli organizzatori? Quale politico? Il bello è che il fenomeno pare diffondersi. Più volte vengo rimproverato per non essermi fatto vivo almeno con una telefonata, visto che sono andato in quella città della Calabria o in quel paese della bassa padana. Sapete che succede? Che gli organizzatori mi mettono nei manifesti a mia insaputa o malgrado abbia detto loro che non posso. Poi dicono che ho avuto un impegno urgente. Loro hanno qualche persona in più nel pubblico e io ci faccio la figura del cialtrone. Ecco: sappiate che per farmi saltare un impegno concordato ci vogliono le cannonate.

Altro consiglio va a giovanotti e giovanottine e chi li frequenta con più dimestichezza. Ai primi: ragazzi, ma quei jeans sotto la linea del sedere pensate davvero che attizzino le voglie di qualcuna? sembrate dei peter pan diseredati, poveri testimonial di una comicità involontaria. E alle seconde: ma pensate davvero che quelle chewingum masticate mentre parlate vi facciano apparire più disinvolte? Ahimé, che cosa non può la convergenza estetico-culturale… Per fortuna che spesso è solo questione esteriore, a quell’età forma e sostanza ancora si dissociano. Ed è per questo, in fondo, che do il consiglio non richiesto.

Un imperativo (e non un consiglio) è invece il seguente: nessuno mi chiami mai “caro”!!! Se si vuole, “Nando” o “caro Nando”; e non mi dispiace nemmeno, lo ammetto, “caro professore”. Ma “caro” e basta no! E’ un trendy insopportabile, è la versione salottiera dell’”attenzionare”. Io non voglio finire nelle mode linguistiche. Magari come l’”amò” o l’”amore” via sms delle olgettine. Oh…

Infine, notizia squisita. Ieri mattina ho compiuto una delle più grandi esperienze mentali, emotive che siano date a essere umano: una passeggiata mattutina nella Valle dei Templi, dove non ero mai stato, sotto un cielo azzurro di Sicilia che era uno spettacolo. Grande fu quella terra. E grandi i ragazzini del liceo di Canicattì che ho poi incontrato. Di loro, e dei bei ragazzi di Catania e Palermo, dico nell’articolo qui accanto. Ma non ho detto che la professoressa che mi ha invitato a Canicattì è parente di quel sacripante di Lillo. Felicissimo (lui) di sapere che sia pure per mezz’ora ero passato per il centro del mondo: Racalmuto, suo luogo natio.

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