Un cantastorie per i ragazzi siciliani

Il Fatto Quotidiano
10 aprile 2011

Ma che bello dire che bisogna coltivare la memoria. Vedi tutti a far di sì con la testa. Perché un popolo senza memoria eccetera eccetera. L’abbiamo letto tutti Primo Levi, non è vero? Poi vai in una scuola superiore di Catania, al liceo classico “Cutelli”, uno dei più prestigiosi. E parli solo con duecento maturandi, mica con i ragazzini del primo anno. E butti lì a bruciapelo la domanda. Ehi, ragazzi, quanti di voi hanno sentito parlare di Pippo Fava e del mensile “I Siciliani”? Dopo tre minuti di ghiaccio e di stupore se ne alza una, di mano. Imbarazzo in chi ha fatto la domanda. Imbarazzo negli insegnanti che assistono. Pippo Fava, l’eroe del giornalismo catanese, colui che fece conoscere alla città la bellezza di una stampa libera, è nome sconosciuto per i liceali d’oggi. I liceali di allora -era il gennaio del 1984 quando lo uccisero- ne fecero il proprio mito, furono redazione e distribuzione e propaganda del mensile che aveva scelto con coraggio temerario di andare avanti. Fondarono perfino “I Siciliani giovani”. Una città puttana, così Fava definìva Catania. Ma non di questo si tratta, chiarisce subito l’assemblea. I ragazzi non dormono affatto. E non sono cinici. Fanno domande. Che rivelano la presenza di professori attenti. Per l’unità d’Italia hanno pure realizzato un tricolore di 150 metri che ha invaso la città. Li hanno portati a vedere come si tiene un processo. Paolo, anzi, non si capacita di quello che ha visto. La noncuranza degli imputati, strafottenti davanti ai giudici, come mai? Roberta vuol sapere perché la mafia si stia espandendo al nord: che cosa vuol dire, che ormai noi siamo saturi? E se può fare la poliziotta antimafia. Mentre Clelia chiede perché ci siano tante persone che vengono dal nord per mettere a posto i terreni confiscati in Sicilia. Studenti svegli che fanno anche un bel giornalino. Restano ad ascoltare e parlare fin oltre l’orario di scuola. No, non è la città puttana, o almeno non è solo quello. Il professor Salvo Di Stefano lavora sui 150 anni di unità e sul fascismo. Il professor Francesco Savatteri coltiva i suoi allievi allo studio di Alda Merini. Programmi vivi, veri. Con sorpresa nella sorpresa. Perché loro hanno in serbo come regalo per il loro ospite proprio i quattro volumi del teatro di Fava. Loro sanno. Eppure ecco la prova: basta che si salti un pugno d’ anni per parlare di altri temi civili  e la memoria si azzera, peggio di una mongolfiera sgonfiata. Così i ragazzi catanesi non capiscono perché domani a Scienze Politiche a Milano l’associazione studentesca “Di stampo antimafioso” presenterà un sito giornalistico sulla mafia al nord ispirato in gran parte proprio all’esperienza dei Siciliani. Davvero si ispirano a qualcosa che si è fatto a Catania? La memoria…Ecco, in nessuna famiglia di quei duecento ragazzi qualcuno ha trovato tempo e voglia di incominciare con loro il racconto di una favola: c’era una volta a Catania un giornalista…Forse è proprio vero che le stragi del ’92 hanno prodotto, con la loro forza devastante, anche la rimozione di ciò che era avvenuto prima, istituendo una specie di anno zero.

Non è così però a Canicattì il mattino dopo. Qui la memoria sembra coltivata. Sarà che la città è più piccola, sarà che quell’appellativo indimenticabile, ingiurioso per qualcuno ma tenero per altri, di “giudice ragazzino” ha permesso a Rosario Livatino di restare anche solo come un soffio nella memoria delle generazioni. Forse Canicattì ha protetto il ricordo del suo figlio con più amore. D’altronde il liceo “Ugo Foscolo” è quello dove il giudice ha studiato, in cui gli è stata dedicata la biblioteca, in cui ha insegnato la professoressa Ida Abate, che ancora ultraottantenne gira infaticabile a ricordare l’allievo a lei più caro. E’ un vortice di emozioni artistiche e civili quello che i giovanissimi ginnasiali del Foscolo fanno vivere al loro ospite. Perché quest’anno il loro progetto di lettura è stato dedicato proprio a chi ha combattuto la mafia. Sotto la guida della preside Rossana Vircilio e grazie alla passione della professoressa Maria Pia Restivo e dei suoi colleghi hanno scritto recensioni, immaginato domande, costruito un bellissimo video, che mostrano con trepidazione.     


Chiedono, soprattutto. Sulla speranza, sul messaggio più vero di Livatino, sulla celebre invettiva di Cossiga, sulla legalità in una società come questa, sul suicidio di Rita Atria (“perché non ha continuato a combattere?”), se è più efficace la lotta diretta o la lotta indiretta, sul senso dell’intellettuale pasoliniano. Salvatore, Ilaria, Donatella, Arianna, sembrano le punte avanzate delle nuove generazioni di un paese allo sbando. Qui la memoria si respira. Quest’anno, però. Perché gli anni prima si sono letti i libri di De Cataldo e Piccolo, Starnone e Lucarelli. Come dire che la scuola varia i suoi programmi di formazione civile. E che tutti gli anni ci sarebbe bisogno di una memoria che altrove conquisti questi ragazzi curiosi e pronti a sposare buoni ideali. Ci vorrebbe per loro un cantastorie, qualcuno che in famiglia, un po’ come nella stalla dell’Albero degli zoccoli, incominciasse a raccontare il “C’era una volta” della lotta alla mafia. Una memoria che poi la scuola irrori di studi e impegno, tra guerre e drammi e mille cose da sapere che stanno tutte fuori dai programmi. Intanto a Palermo si è formato un gruppo di giovani apposta. Si chiamano “Muovi Palermo”. Hanno un bellissimo progetto: “Frammenti di memoria condivisa”. Chissà se saranno loro il primo cantastorie collettivo. 

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