Marilisa

Solare. Mi ha colpito questo aggettivo che tornava stamattina nei necrologi. Sì, è il più adatto. Marilisa era solare. Mai doppia, mai ipocrita. Diritta fino a metterti in imbarazzo. E generosa, una generosità senza fine. Allegra anche quando si arrabbiava. Avrete capito che se ne è andata un’amica grande e cara. Cara a tanti perché di centinaia di amici è vissuta, facendoseli nelle sue tante battaglie per buoni ideali. La conobbi nel movimento studentesco, più giovane (direi oggi “più piccola”) di me. Ma soprattutto nella fantastica esperienza di “Società Civile”, il mensile che per qualche tempo diresse, offrendo scudo a redattori più giovani e inesperti. Ne ebbe anche qualche conseguenza, una di quelle cause civili infinite e ingiuste, che si incarogniscono per strada e che perdono ogni loro senso quando per circostanze imprevedibili tutti e due i protagonisti nel soffio di un anno non ci sono più. Partecipò a quella esperienza con entusiasmo da ragazza, anche se ogni tanto sembrava, per usare il linguaggio delle famiglie castigate di una volta, “un maschiaccio” (oh, come le piaceva…). Mi è passato sotto gli occhi per caso qualche giorno fa un suo articolo d’avanguardia degli anni ottanta sulle donne milanesi che andavano a caccia di neri in discoteca. Spregiudicatezza da giornalista di razza. Riusciva a mettere perfino il cappello con veletta senza essere ridicola. Proprio così: sapeva fare ridere ma non era ridicola mai.

Ti chiedi perché la tua vita debba essere un gioco al massacro di caselle da riempire (giorni, ore, città, viaggi) se quando ti dicono “è morta Marilisa, un aneurisma” non hai nemmeno il tempo di fermarti a piangere, perché devi proprio usare tutti i minuti dell’orologio per fare il tuo dovere. E il giorno dopo, per fare lezione, non puoi andare a salutarla a Borgotaro. Per non essere in colpa con nessuno, tranne che con te e con lei. Ci è andato Lillo, che a Società Civile c’era e faceva sintesi magistrali del mese che finiva. E’ stata salutata in piazza sotto una bandiera della pace e una bandiera cubana (era la sua amabile debolezza ideologica). Una banda ha suonato “Bella ciao” e note dell’ “Internazionale” da brivido, mi si dice. C’erano i suoi amici dell’ultima buona impresa di cui è stata protagonista nel mondo del giornalismo, “Senza Bavaglio”. C’erano molti cubani, molti ex giovani del ’68, che avrà fatto anche guai ma se non altro ha seminato amicizie profonde. L’11 o il 12 di maggio la redazione di “Società Civile” che le ha voluto bene, e tanto, la ricorderà allo Spazio Melampo. Una Direttrice così non si scorda mai.

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