La scorta di Scilipoti e il coraggio di Denise

Proprio così: lo sapevate voi, begli addormentati, che il prode Scilipoti c’ha la scorta? Io no, e nemmeno potevo sospettarlo. Per difenderlo da chi?, direte. Ma da noi, da noi violenti, perbacco! E da chi, se no? Forse dai mafiosi? Dai terroristi musulmani? Dagli spacciatori abusivi di mutande di lana? No, da noi che potremmo organizzare contro di lui attentati e sabotaggi per vendicarci del suo passaggio nelle file nemiche. Brav’uomo che non è altro. E pensare che avrebbe fior di argomenti per placare anche l’energumeno più esagitato: che ci metterebbe, in fondo, a sbattergli in faccia la più cruda e disarmante verità, quella sbandierata orgogliosamente prima di Natale? Di Pietro e Bersani non si sono mai occupati di agopuntura, ecco. Ecco perché sono passato con Berlusconi. E pensare che ci sono magistrati in prima fila senza scorta…Per Scilipoti invece la scorta si trova, perché “basta con questi status symbol” vale solo per i giudici antimafia. E c’è, sempre la scorta, anche per Razzi, ma sì (non sto scherzando).

Non si trovò invece a suo tempo il modo di dare protezione a Lea Garofalo, la giovane donna che aveva voluto uscire dalla ‘ndrangheta, portandosi via di casa la figlia Denise; venne lasciata sola Lea che aveva iniziato a collaborare con la giustizia e che per questo venne sequestrata, torturata e sciolta nell’acido a Milano, mica a Corleone. La sua storia è terribile e deve interrogarci tutti. Terribile è la storia di Denise, oggi diciottenne e chiamata domani (mercoledì) a testimoniare contro  il padre e gli zii del clan Cosco al processo che inizia a Milano nel mattino. Chissà che clima. Ci andrò, a parteggiare per lei in aula. Mi sembra un dovere civico, umano. Dovrebbero andarci tanti ragazzi. Perché è giusto ricordare Rita Atria morta suicida a diciassette anni nel modo tragico che sappiamo. Ma è forse ancora più giusto impedire che un’altra ragazza sia costretta alla disperazione; giusto far sì che avverta attorno a sé il calore della società civile dopo essere stata costretta a vivere gli ultimi mesi praticamente alla macchia, quasi braccata telefonicamente (e non solo) da chi vuole che non parli. Su la testa, dunque. Basta a parlar di fesserie. Siamo tutti con Denise.

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