Da Tel Aviv, da Hebron. Viste in diretta con occhi di pace

Con qualche orgoglio (e con il permesso dell’interessata) pubblico questo racconto da Tel Aviv di Dora, la minore dei Gracchi.
È la quarta volta che vengo in Israele in due anni. È un paese di un fascino incredibile. Appena si atterra si ha la netta percezione di entrare in un paese in guerra, ma paradossalmente,appena si decolla per tornare a casa,si inizia  a pensare che in nessun altro luogo si è sentito una sensazione di pace così profonda. Forse è il contatto diretto con la distruzione e l’alone di disperazione che avvolge il paese, forse è anche il fatto che una volta arrivati qua,si inizia immediatamente a ridimensionare il proprio orticello. Si arriva a Tel Aviv, città meravigliosamente decadente, efficiente e divertentissima. Qua viene chiamata "the bubble" per il fatto che si è ovattati rispetto a tutto quello che succede intorno. Però dista meno di un’ora da Gaza,però quando si è sdraiati sulla spiaggia si vedono i caccia militari nel cielo,però il ragazzo accanto depone la tavola da surf, si rimette l’uniforme,toglie la sabbia dalla mitragliatrice e va via. Per loro questo significa essere ovattati. Da qua in 40 minuti di Sherut (taxi collettivo) si arriva a Gerusalemme ed è un altro mondo. La città,inutile dirlo,è stupenda. Quando si arriva dalle scale nella piazza del Muro del Pianto è come ricevere un pugno in piena faccia. La prima domanda che mi è scoppiata in testa è stata "Ma in nome di cosa?". In nome della gente che si spacca la testa contro il Muro? In nome della preghiera del Muezzin che proviene dalla splendida cupola d’oro della Moschea dietro al Muro? In nome delle persone che sfregano le croci sulla pietra del Santo Sepolcro, quasi in preda a crisi epilettiche? In nome di cosa vi ammazzate l’uno con l’altro da infiniti e troppi anni? Non riesco mai a darmi una risposta sensata. Provo a giustificare,a capire, a comprendere, ma niente riesce a esaudire questa domanda che mi martella la testa. Non c’è Dio che tenga, non c’è religione che possa giustificare questo disastro umano. Da una parte all’altra chiedo mentalmente a una madre ebrea e a una musulmana se non abbiano voglia di diventare nonne e di smettere di perdere i propri figli.  Non esiste una parola che dia un aggettivo a dei  genitori che perdono un figlio,perché è tremendamente innaturale. Qua dovrebbero iniziare a pensarci,perché questa innaturalezza è fin troppo comune.
Ieri sono stata a Hebron, in Palestina. Non è un paese come gli altri,là vivono 4500 palestinesi,500 ebrei e 4000 soldati israeliani. Praticamente i coloni ebrei hanno 8 soldati pro capite. Tutto questo perché c’è la Tomba di Abramo,sacra per entrambe le religioni. Il paesaggio è desolante,il paese è praticamente deserto e distrutto ed è sotto assedio militare. I soldati non sono sull’attenti,portano le mitragliatrici come fossero zaini e ciondolano qua e là. Non hanno paura,come se fossero abituati all’idea della morte. Ieri, io e le mie due amiche,eravamo le uniche turiste. Ad ogni posto di blocco ci chiedevano non da dove venissimo,ma a quale religione appartenessimo. Quando dicevamo "nessuna" ci guardavano allibiti e ci chiedevano perché fossimo lì. Non potevano comprendere,né, ovviamente,gliel’abbiamo detto,che volessimo vedere che diavolo fosse Hebron. Hebron è un luogo dove ti sembra impossibile pensare che il mondo possa essere giusto. Questo è Hebron. I militari tengono sotto controllo con metal detector e tornelli anche la parte musulmana,dalla moschea al suk. Non ho mai avuto paura di andare nè in Israele nè in Palestina,ieri ne ho avuta. Perché mi sono resa conto di essere in preda alla follia umana. Perché se a qualcuno girano le palle, e di motivi ce ne sono, sei davvero in pericolo. Però credo che tutti dovrebbero andarci, perché è l’emblema di un conflitto di cui troppi parlano e che pochi conoscono. Quando sono tornata a Gerusalemme ero sconvolta. Ho cercato di rilassarmi sul terrazzo dell’ostello, un gioiello scavato nella pietra nella città antica, guardando i tetti della città e ascoltando il Muezzin, ma avevo solo una gran voglia di scappare da un posto pregno di una spiritualità che ammette tutta quella disperazione. Si parla sempre di filoisraeliani e filopalestinesi,ma ci si dimentica della cosa più importante al mondo,la filantropia. Qua non esiste.
Ora sono di nuovo a Tel Aviv. Da un mese la via centrale, come altri posti, è piena di tende con persone che dormono là per protestare contro un governo che sta mettendo economicamente in ginocchio la popolazione. La gioventù israeliana,e non solo, manifesta anche per la Palestina. È una dimostrazione immensa e pacifica, come non si vedeva dai tempi di Rabin. Guardi quelle persone e speri con tutto il cuore che le cose qua possano cambiare realmente, speri che loro possano insegnare al mondo intero il concetto di pace, dopo che hanno spiegato,meglio di chiunque altro, quello di guerra. Intanto oggi hanno fatto un triplice attentato a Eilat e il ministro della difesa Barak ha già promesso un risposta durissima a Gaza.

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