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Fuochino anzi fuoco. L’isola che c’è, tra fontane e bagni pubblici
Terra, aria, acqua, fuoco. A Stromboli, come si sa, gli elementi della natura si sono dati appuntamento. Ma quest’anno il fuoco si è preso con qualche prepotenza il ruolo di protagonista. Non se ne è mai visto tanto, e su questo concordano tutti, strombolani di residenza e strombolani di cuore. Il vulcano lancia continuamente verso il cielo i suoi fiotti, a volte accompagnandoli con botti fragorosi, altre volte con leggera naturalezza. Ieri mattina il botto ha fatto traballare le fondamenta della casa, mi sono sentito spingere verso l’alto, come mi accadde una quindicina d’anni fa mentre stavo facendo la doccia. La sera, se si va a prendere una pizza all’osservatorio conquistandosi la postazione con una lunghissima strada sconnessa e polverosa e dai panorami mozzafiato, vedi scene fantastiche. Getti verso l’alto come se ci fosse una fontana di fuoco. Anzi due fontane, perché i crateri attivi in continuazione sono due. Vanno in armonia, prima uno poi l’altro, oppure esattamente insieme. Capita che al getto verticale si accompagnino, qualche decina di metri più avanti, cerchi di fuoco orizzontali disposti uno sopra l’altro e che si librano nell’aria un po’ come le bolle di sapone. Poi d’improvviso un ombrello rosso immenso: e allora la lava scende per il pendio e massi in fiamme corrono giù al mare verso la sciara del fuoco, con la gente che fa tutt’insieme “oh, oh” per la meraviglia.
E tra una meraviglia e l’altra, perché resti con la testa all’insù per ore, capita di dovere cercare la strada per la classica toilet. Ecco, meglio non averne bisogno. Tanto sono gentili all’Osservatorio, tanto lì fanno schifo i gabinetti. Apri la porta e la richiudi senza entrare. Così pensi agli undici giorni in Danimarca. Non avranno i musei e le cattedrali e i colossei ma i bagni pubblici sono lindi, puliti ovunque, dal pub all’autogrill. Perché questa è la verità: tu puoi avere avuto Giotto e Raffaello, Marconi e Fermi, pure Paolo Rossi, ma alla fine il tuo livello di civiltà lo danno i bagni pubblici. E’ lì che un popolo mette a nudo (è il caso di dirlo) i suoi costumi civili, il suo rispetto per gli altri, il suo senso del decoro e della cosa pubblica.
Civilissimo, anzi stupendo, è il cinema all’aperto che Chiara la libraia gestisce ogni sera all’edicola-libreria di cui ho già scritto l’anno scorso. Sono andato due volte, per “Il grinta” e “Un gelido inverno” (mentre i turisti occasionali si ciucciano quella mappazza di “Stromboli” di Rossellini). Vai e trovi dai venti ai quaranta (talora più) spettatori, silenziosi e rispettosi, mentre tra i cespugli ronfa una pattuglia di gatti sfamati e ospitati da Chiara. Sopra di te che sei seduto da spettatore, cieli da vertigine e ogni tanto lampi di rosso fuoco che schizzano lontano al di là dello schermo. Ma quando mai si è visto un cinema all’aperto così? E quanti ce ne sono ancora in funzione in Italia? In ogni caso nel Gelido inverno ho scoperto Jennifer Lawrence. Bravissima, superlativa e pure bella. Ho deciso che almeno per quest’anno sarà la mia attrice preferita. Se la studino bene, le nostre veline. P.S. Ragazzi, il vulcano sta buttando fuori tanto di quel fumo da oscurare il cielo…
Nando
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