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Vi racconto chi è Penati. Ora parli il Pd
Il Fatto Quotidiano
30.8.2011
Diciamola tutta, però, la verità sul caso Penati. Altrimenti
è inutile parlarne. Filippo Penati non è un “mariuolo”, come ormai hanno capito
tutti. La sua vicenda chiama in causa un sistema. Che non è però, questo il punto, solo il “sistema Sesto”. Bensì
qualcosa di più ampio, perfino un modello di politica. Penati è stato l’uomo
del nord del Pd. Ben più organico dei sindaci di grandi città a quelle
strutture informali e solidissime che compongono le vere catene di comando dei
partiti. Fatte di lealtà, di silenzi, di riconoscenze, di reciprocità. Da Sesto
a segretario provinciale Ds a presidente della provincia di Milano a capo della
segreteria di Bersani, ha sempre goduto di un largo consenso. A partire da
Milano, dove i partiti del centrosinistra ne hanno incassato senza fiatare (con pochissime
eccezioni) prima l’autocandidatura per
la Provincia poi la candidatura dall’alto per la Regione, in tutti e due i casi
senza passare per le primarie. A Milano, dopo la vittoria elettorale in
provincia si favoleggiò a lungo di un “metodo Penati” che avrebbe dovuto
funzionare da esempio e riferimento per andare finalmente alla conquista del
nord. L’uomo si propose anzi, appena presidente della provincia, come futuro
sindaco della Grande Milano, ovvero l’area metropolitana più ricca e popolosa
d’Italia. Con un sostegno e una apertura, anche questo va ricordato, davvero
straordinari da parte dell’informazione locale. La sua stessa candidatura alla
presidenza della Regione Lombardia, dopo la sconfitta alle provinciali del
2009, non puntava tanto a una vittoria in Regione (missione quasi impossibile)
bensì a spianargli la strada alla candidatura a sindaco di Milano. Se infatti
Penati avesse vinto contro Formigoni entro le mura cittadine (gli era già
accaduto alle elezioni perse in provincia contro Podestà), come negargli
l’investitura più ambita? Non gli riuscì, ma la sua candidatura restò egualmente
in prima fila, benché non annunciata. Per questo l’ingresso sulla scena -a
sorpresa- di Giuliano Pisapia provocò una reazione stizzita (e sbagliata) del
partito, che puntò su un altro prestigioso candidato della società civile (Boeri)
ingaggiando però al contempo una battaglia per affermare la supremazia politica
del partito -ossia, alla fine, dello stesso Penati- nella capitale del nord.
Penati e il nord, dunque, non Sesto. Ma anche Penati e le
infrastrutture, i trasporti. Molti hanno sottolineato in questi giorni
l’assoluta anomalia della celebre operazione condotta sull’autostrada
Serravalle tra la provincia di Milano e l’imprenditore Marcellino Gavio, specie
alla luce della successiva partecipazione di Gavio alla scalata Bnl. Ma, senza
volere nulla aggiungere ai fatti, è impossibile non vedere l’espansione degli
interessi di Filippo Penati nell’area dei trasporti e delle infrastrutture e la
presenza crescente dei suoi collaboratori diretti in questo campo. Il fratello
del suo capo di gabinetto, Luigi Vimercati, venne nominato sottosegretario alle
Infrastrutture nel governo Prodi (attualmente è senatore e segretario della
commissione Lavori Pubblici). Il suo assessore in provincia, Matteo Mauri, è
oggi membro della segreteria nazionale del Pd, dove è responsabile nazionale
del partito per infrastrutture, trasporti, casa ed Expo. Il suo giovanissimo
pupillo milanese, Pierfrancesco Maran, da lui sostenuto massicciamente alle ultime
elezioni comunali, è assessore alla mobilità e all’ambiente. Non in virtù di
una contrattazione con Pisapia, così come non ci fu contrattazione per Luigi Vimercati
con Prodi; ma all’interno di un evidente disegno di partito. Nulla da dire
sulle persone. Ma in nessun partito accade che un solo gruppo controlli un’area
così vitale di interessi. Soprattutto in quelli strutturati in correnti, come è
noto, se l’esponente di un gruppo ottiene la responsabilità di un settore,
subito si predispongono i bilanciamenti interni perché ve ne sia una gestione
collegiale. Come mai questa progressiva eccezione? Anche perché, va notato, è
nell’ambito di questa filiera che è stata assegnata la responsabilità di
partito per il trasporto aereo a Franco Pronzato, il manager Enac oggi
inquisito per corruzione.
La questione, dunque, è comprendere l’ampiezza e il senso del
sistema, evitando il rito del capro espiatorio. Volendo fare un passo
ulteriore, la questione è anzi, più in generale, quella del modello di
politica, di partito. Perché è certo vero che la differenza fondamentale tra il centrodestra e il
centrosinistra è che di fronte all’azione della magistratura scattano
meccanismi culturali e di rispetto istituzionale che sono agli antipodi. Ma
bisogna capire perché si debba per forza arrivare alla magistratura, perché i
partiti, nel caso il Pd, non predispongano degli anticorpi interni. Perché chi solleva problemi di regolarità e di trasparenza
nella quotidianità non sia vissuto come un aiuto prezioso per evitare al
partito la gogna delle inchieste, ma sia considerato, per usare la famigerata
espressione di Scajola, “un rompicoglioni”. Ecco il vero problema. E su questo
varrà la pena intervenire successivamente.
Nando
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