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L’avessero detto a Masaniello… (a proposito di Lavitola; scritto per ebdomadario.com)
Finora il pescivendolo per antonomasia era stato Masaniello. Coraggioso, sanguigno, popolaresco, ingenuo, vittima di se stesso e della storia che non perdona i poveri. Ora il pescivendolo per antonomasia è diventato lui, Valter Lavitola, maneggione sempre in volo tra l’Italia e l’America latina, meglio se Panama e isole caraibiche. Tra le mani grassocce non gli guizzano né totani né pesce azzurro. Ma foto e soldi, agendine preziose e schede telefoniche. Lavitola è l’ultima, perfetta metafora della storia surreale di questo paese, costretto ogni tanto a svegliarsi e ad apprendere dai giornali che la vita pubblica non la fanno i governanti, gli eletti, i “soliti nomi da due decenni”, come recita la retorica indignata. Né industriali o generali. Ma persone di cui non si sospetta nemmeno l’esistenza. Militi ignoti delle relazioni sociali a cui un cittadino normale non darebbe un euro.
Il guaio è che chi si trova ai vertici del potere li cerca, li tratta con rispetto, perfino con una punta di timore. Perché è nelle loro mani. E questa di sicuro potrebbe essere materia per una intensa attività di studio. Come ha fatto quel guaglione paffuto e sfrontatello, frequentatore disinvolto di repubbliche delle banane, a diventare consigliere ascoltato, uomo di fiducia e stratega del capo del governo di uno dei paesi più industrializzati del mondo? Dove si sono visti la prima volta? Che cosa si sono detti? Perché il milite ignoto è piaciuto all’imperatore? E qual è il primo servigio che gli ha reso? E come mai un capo del governo che ha a sua disposizione centinaia di parlamentari fedelissimi pronti a votare che Ruby è nipote di Mubarak, sente il bisogno di avere in più alla sua corte questo uomo giovane e senza mestiere? Né Bondi né Pisanu, né Frattini né Quagliariello gli bastavano. E nemmeno Ghedini. L’imperatore ha voluto accanto a sé un giovanotto perennemente senza cravatta, forse attratto dalla sua dimestichezza con gli espedienti della mala, come i giochi delle schede peruviane e panamensi; o forse perché con lui può confidarsi sui coniugi Tarantini che il povero Frattini, illuso di essere un pezzo pregiato del potere della seconda Repubblica, nemmeno conosceva per sentito dire. Lavitola, invece, conosce le interiora del potere. Ci sa mettere le mani, proprio come il pescivendolo sa fare con perizia tra le interiora delle sue vittime squamate. Con naturalezza.
Da dove gli viene tanta perizia? Una confessione autobiografica dice tutto: “entrai nella massoneria a diciannove anni”. Ecco, è questa impagabile confessione che va distillata mentalmente. Perché a diciannove anni un giovane pensa alla facoltà a cui iscriversi, ai viaggi che vorrebbe fare, corteggia con disinvoltura o con impaccio le coetanee, si sublima nell’amore, suona la chitarra o il violino o il bongo, magari sogna la rivoluzione, certo pensa di cambiare il mondo. Si interroga sul suo lavoro. Valter Lavitola invece no: a diciannove anni pensava alla massoneria. E ci si iscrisse pure. Eccole, le affinità elettive. Ecco il segno del disturbo mentale destinato a sposarsi un paio di decenni dopo con i disturbi mentali (crescenti) di un capo del governo a sua volta massone.
Si dice: questo succede perché Berlusconi è così, perché l’uomo è malato, aveva ragione Veronica. Alla fine non poteva non trasferire nell’universo maschile a lui più vicino le patologie di cui ha nutrito il suo quotidiano universo femminile. Errore. Perché i militi ignoti delle relazioni sociali costellano da sempre la nostra vita pubblica. I potenti, tanto gelosi all’occorrenza “delle prerogative del parlamento”, hanno sempre dato accesso alle stanze del comando a signori (e signorine) mai eletti da nessuno e senza mestiere, dai Francesco Pazienza ai Flavio Carboni fino ai Luigi Bisignani. E’ questo il vero mistero, buffo e tragico al tempo stesso, della democrazia italiana. Gli Arcangelo Martino e i Pasquale Lombardi che si riuniscono con Dell’Utri, Verdini e il sottosegretario Caliendo e il capo degli ispettori ministeriali della Giustizia Archibald Miller per decidere come condizionarela Corte Costituzionale (!) in vista della sentenza sul lodo Alfano. I nostri destini nelle mani di gnomi sconosciuti, che giungono ai livelli più alti del potere procurando bottiglie d’olio o casse di vino, viaggi per coppie di magistrati o porno-femmine, informazioni proibite o schede telefoniche. Così, in fondo, un pescivendolo può arrivare e piazzarsi ai vertici del potere, senza sentirsi Forrest Gump, senza essere un intruso. Gliel’avessero detto, a Masaniello…
Nando
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