Il poliziotto in pensione che guida la lotta ai clan

 

Il Fatto Quotidiano
30.10.11

Sempre in servizio, come i veri poliziotti. Anche se è in
pensione. Antonio Turri ha lasciato l’anno scorso il suo incarico di sostituto
commissario alla questura di Latina. Ma non ha mollato l’osso. Così se oggi
l’offensiva dei clan sul basso Lazio sta trovando una risposta lo si deve anche
a lui, che i suoi ventinove anni di servizio li ha trascorsi tutti tra Roma e
Latina e quindi la zona la conosce bene. Un padre poliziotto e palermitano, fra
l’altro; dunque figlio d’arte che la mafia ha iniziato a capirla sin da bambino.
Provate a immaginare un pezzo d’Italia che nel giro di trent’anni diventa un
autentico bengodi per i clan di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Dove ci sono
coste indifese e mete del turismo d’élite. Dove o c’è troppo movimento perché
si possa controllare a vista il territorio o ce n’è troppo poco perché chi
controlla non sia costretto a esporsi personalmente. Dove c’è uno dei più
grandi mercati ortofrutticoli d’Europa, quello di Fondi. Dove sono arrivati i
boss al soggiorno obbligato a far da ambasciatori e a preparar la pappa per
tutti. Dove si arriva in un’ora o due dalle terre di camorra. E dove un bel
gruzzolo di amministratori gozzovigliano corrotti. E dove vi trovate un
cocktail di storia criminale da tremare: Franck Coppola a Pomezia, Bardellino a
Formia, gli Alvaro ad Aprilia, i Mallardo a Terracina. E un prete, don Cesare
Boschin, ucciso e incaprettato per essersi battuto contro le discariche abusive.
E avrete davanti a voi un quadro impressionante di affari e impunità. Dove il
consiglio comunale di Nettuno viene sciolto ma di quello di Fondi non se ne
parla nemmeno, neppure se lo chiede il ministro dell’Interno. E poi ci mettete
questo poliziotto in pensione, niente fisico da Rambo ma solido, saggio,
coraggioso con le decine di giovani e meno giovani che imparano da lui e ormai
fanno catena civile in proprio. Quand’era in servizio all’anti-crimine un po’
di sorci verdi ai clan glieli ha fatti vedere. “Arrivai alla fine degli anni
ottanta, primi anni novanta. E già allora fiutai il pericolo che
rappresentavano, che con i soldi contaminassero questa parte del Lazio, con
l’aiuto logistico di quelli spediti qui con le misure di prevenzione. Fra l’altro
le amministrazioni locali spesso non erano delle dighe morali. Io stesso,
dedicandomi ai reati contro la pubblica amministrazione, arrestai diversi
politici locali negli anni ’94-’95. Mi soprannominarono l’ispettore
anti-mazzette. No, non arrestai consiglieri comunali, ma il presidente della
provincia di Latina e alcuni sindaci. Poi quando Carmine Schiavone, primo
pentito dei casalesi, mise a verbale quel che sapeva mi preoccupai ancor di
più. Raccontò degli appalti sulle autostrade, dell’arrivo delle ‘ndrine dei
Tripodo, dei traffici di cocaina, dei rifiuti tossici, delle alleanze con
imprenditori del posto. Ci disse, pensi le cifre, che lui pagava trenta
‘soldati di mafia’ dal Garigliano a Sabaudia e altrettanti da Sabaudia a Roma.
Furono bravi il prefetto Frattasi e anche il comandante dei carabinieri di
Latina, ma questi sono protetti. E pretendono il pieno controllo su tutta
l’area. A me nel ’95 misero una bomba davanti casa; mi fecero saltare di notte
l’inferriata del villino. Adesso lavoro con Libera. In realtà l’ho fatto per
tanti anni anche quando ero in servizio. Noi poliziotti dell’antimafia ci
trovavamo, ci scambiavamo idee ed esperienze incontrandoci. Sa, le indagini, le
scorte, lo stesso sindacato, io ero del Siulp e poi ero passato al Silp Cgil,
scrivevo sul giornale sindacale. Poi conobbi Saveria Antiochia, la mamma di
Roberto, il nostro collega ucciso a Palermo nell’85 mentre faceva la scorta al
commissario Cassarà. Una donna stupenda. Con lei ci battemmo tutta Roma per
raccogliere le firme di sostegno alla legge approvata nel ’96, quella per la
destinazione sociale dei beni confiscati alle mafie.

 

Ora, vede un po’ il destino, sono io l’assegnatario di una tenuta confiscata per abusivismo edilizio. E’ a Borgo Sabatino, Latina, ai bordi del canale Mussolini e al confine con la centrale nucleare. Un villaggio turistico tutto abusivo, pensi per loro che smacco. Ci abbiamo fatto un campo della legalità dedicato a una vittima catanese della mafia, Serafino Famà.” La saggezza e il coraggio del poliziotto di razza sono stati messi nuovamente alla prova. “La settimana scorsa ce l’hanno vandalizzato tutto. E non è stata la prima volta. E’ un continuo. Pali divelti, acqua avvelenata. Ma non siamo soli. Ci siamo impegnati nel villaggio con una trentina di associazioni, quelle classiche nazionali come Legambiente, Agesci o Arci, e altre locali. Don Ciotti è venuto un sacco di volte a sostenerci. E lo sa che sono da aprile scorso, quando lo abbiamo preso in gestione, sono venuti qui migliaia di giovani, anche da Verona? Facciamo musica, corse campestri, rifacciamo un’idea di società, con Luigi, Maria Sole, Lello e molti altri. Mio figlio stesso lavora con Libera, coordina i beni confiscati nel centro Italia. Vede, per capire il valore di quello che stiamo facendo bisogna solo ricordare la loro impunità. E soprattutto immaginare che cosa hanno sepolto sotto queste terre, dove vengono segnalate masse ferrose a profondità variabili e hanno trovato sacchi e sacchi di monete da 500 lire. Bisogna pensare che quanto a beni confiscati, dopo Roma, nel Lazio, c’è Latina. Certo, lo credo che stanno un po’ incazzati. Diciamo che un po’ di confusione la stiamo facendo”.

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