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Scilipoti leader, Cossiga statista. E gli antimafiosi di seconda generazione
No, per favore. Scilipoti “leader” proprio no. Ho appena
sentito questa atrocità al tg di La7. Ditemi che è capogruppo e rido. Ditemi che
è boss, presidente, amministratore delegato, coordinatore, reggente, capintesta,
gran mogol. Ma “leader” no. Leader vuol dire trascinatore, guida morale,
maieuta, capitano-mio-capitano. E Scilipoti non lo può essere per ragioni scientifiche,
di dna. Le parole, sant’Iddio, le parole. Su questo ci distruggiamo. Su questo
rotoliamo verso il baratro. Non per nulla le parole l’hanno fatta da
protagoniste ne “Lo Statista”. Che ho visto e toccato dal vivo ieri, fresco di
stampa, rendendomi conto che è inquietante già solo per la foto di Cossiga in
copertina: cappello scuro a falde sulle ventitré, come si dice, occhiali
sottili, sguardo torvo. Insomma, il bimbo è nato. E il suo gemello (il libro di
Caselli, “Assalto alla giustizia”) è nato al seguito.
E’ finito intanto il mio corso trimestrale di Gestione e Comunicazione di
Impresa. Ne sono piuttosto soddisfatto. Molti sono i frequentanti bravi/brave
(le studentesse son di più), molte si annunciano le nuove e buone tesi. Ma colgo
sempre una certa fatica a sviluppare globalmente la capacità di ascolto. Il
guaio è che si sceglie comunicazione all’università andando a orecchio, per il
fascino della parola (le parole…). Solo che andare “a orecchio” è diverso assai
dal praticare l’ “ascolto”. Da qui la domanda, che vorrei proporre a tutti
quelli che ripetono che viviamo nella società della comunicazione (il tema infatti
è generale): come si può fare buona comunicazione senza sapere ascoltare? Ascoltare il tuo
interlocutore per capirlo davvero e non sbagliare i toni, ascoltare gli sconosciuti
in treno per catturare i modi di dire, il clima culturale; per rapinare slogan
o spot, anche. Ascoltare convegnisti per impadronirsi delle idee buone da
rivendersi. “Sentire” e “ascoltare”…Ci farei dei seminari a Stromboli.
Intanto ho realizzato una cosa, che mi mette di buon umore. A Milano ci saranno
ormai i mafiosi di seconda
generazione. Però ci sono anche gli antimafiosi
di seconda generazione (noto ora che il computer mi segnala che la parola può
essere sbagliata; dovrà invece abituarsi all’idea che è giusta, che gli
antimafiosi esistono sul serio…). Sono i figli di quelli che hanno
partecipato ai movimenti degli anni ottanta o novanta e che incontro sempre più
spesso. Ce n’ erano tra quelle ragazze che spontaneamente sono andate a fare un
sit-in al palazzo di Giustizia a Milano lo scorso giovedì per protestare contro
l’ idea che Denise Cosco, figlia diciannovenne di Lea Garofalo, la donna uccisa
e sciolta nell’acido dal marito (secondo l’accusa), debba ritrovare il coraggio
di testimoniare contro suo padre. Motivo: il presidente della corte è stato
nominato capo di gabinetto del nuovo ministro della Giustizia e se ne è andato.
Da qui il rischio di dovere ricominciare daccapo. Con gli avvocati difensori
che chiedono il rinnovo della testimonianza, magari sperando che Denise crolli
prima. Brave ragazze dei licei Virgilio e Caravaggio. Siete l’orgoglio di Milano.
Nando
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