Monti, gli evasori e i fessi impenitenti (e anche il buon italiano…)

 

Appunti di inizio settimana. Non condivido tutti i sarcasmi
sulla manovra annunciata da Monti. La carta di credito sarebbe inutile perché il
paese è allergico, perché quando arrivano i saldi i commercianti la rifiutano?
Appunto: non devono poterla rifiutare. Allora aboliamo anche lo scontrino
fiscale. Inutile tassare i capitali scudati perché hanno già preso il volo di
nuovo? Bene, non mandiamo più ad arrestare i delinquenti perché sono già
latitanti. Quante fesserie che riusciamo a dire…Sempre capaci di indicare altre
cose da fare (“questo sì che sarebbe utile”…), salvo ridicolizzare anche quelle
se il governo le fa davvero. Io ho capito una cosa: che qualunque sia la
manovra ci andrò di mezzo in due o tre modi, e forse di più. Dall’Ici alle aliquote
alla pensione. Però so che qualunque manovra comporta dei costi e anche delle
ingiustizie, per il semplice fatto che non può tenere conto di tutte le
situazioni particolari. Dunque accetterò senza fare la vittima. Una sola cosa
chiedo: che vengano stanati senza pietà gli evasori. E che lo si dica, serve a
costruire un clima. Il Daccò del San Raffaele, quello che ospitava sulla sua
barca il Formigoni desnudo (in fondo più elegante così che da vestito), non
dichiarava uno straccio di reddito avendo più di 160 conti correnti e non so
quanti appartamenti. In Francia il reddito pro capite dichiarato è più alto di
quello italiano, ma i consumi sono più bassi. Come mai? Forse i francesi
mettono i soldi sotto il mattone? O siamo noi che non li mettiamo sopra la
dichiarazione? E poi chi ha da criticare, prima scriva cento volte sul
quaderno: “Questo abisso l’hanno fatto i corrotti e quelli che hanno usato i
soldi pubblici per comprarsi i consensi elettorali. Per decenni”. E se li ha
votati faccia penitenza, si guardi allo specchio e si schiaffeggi in rapida
sequenza, dicendo cento volte a voce sempre più alta: “sono stato un fesso,
chiedo perdono ai ventenni di oggi per quello che ho fatto”. Poi parli.
Possibilmente in buon italiano.
Già, la lingua accidenti. Non sono mica un fissato. Il guaio è che non la salva
più nessuno. Sto leggendo un libro intitolato “Prodotto interno mafia”,
pubblicato da Einaudi. Una giovane giornalista intervista Grasso, Gratteri, Lo
Bello, monsignor Mogavero e Moisés Naìm (economista venezuelano). Non farò il
nome della giovane, che mi sembra anche brava. Né dirò queste cose marginali
nella recensione che ne devo fare per “l’Indice”. Ma insomma, più volte il
termine “decadi” viene usato dall’intervistatrice come sinonimo di “decenni”.
Ma dico, non ce l’ha un papà? O un correttore all’Einaudi? E poi, orrore:
quando deve spiegare in una nota al lettore che cosa è stata la “primavera di
Palermo” precisa che a capo del movimento c’erano Leoluca Orlando (vero) e –udite
udite!- Sergio D’Antoni, Raffaele
Bonanni e Vito Riggio. Insomma la rivoluzione antimafia l’ha fatta la Cisl del
pubblico impiego. Così qualcuno le ha raccontato la storia dell’antimafia e
lei, giovane giovane, così ce la racconta. Robdematt…E voi mi dite che non
dovevo scrivere di Cossiga, il totem intoccabile della stampa nazionale? Di colui
che rifaceva la storia a furia di panzane e di veleni rifilati ai giornalisti?

 

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