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Ricordi il Guglielmino? Le mie catene e quelle di Gentili, antimafioso impertinente
Reduce dall’Ostello Bello. Che emozione… Ma davvero devo
spiegare a voi che cosa si prova ad andare nell’impero gentile del Gracco a
presentare il proprio libro su Cossiga? Come ha ben detto il Gracco, “abbiamo
voluto fare qui la presentazione non solo perché l’autore è il mio papà, ma
soprattutto perché Cossiga è il contrario del mondo in cui crede questo
Ostello”. Bravi Spataro, la De Monticelli, De Biasio e pure la Ilaria (Meli).
Mi sono scatenato contro quello che chiamo “il democratico pubblico plaudente”.
Ho provato la meravigliosa sensazione di potere ormai dire sulla stampa e in
piena libertà tutto quello che penso. Al diavolo i diplomatismi. Ormai dalla
censura dei giornali e televisiva ho subito talmente tanto che, come avrebbe
detto Carletto Marx del suo proletario, “non ho altro da perdere che le mie
catene”. E il pubblico ha gradito. Dunque ricordiamogli ogni volta il ruolo
giocato dalla stampa in questo immenso imbroglio collettivo che ha fatto del
Picconatore un uomo libero e interprete del “necessario cambiamento delle
istituzioni”.
E a proposito di uomini liberi, ma in questo caso “liberi veramente”, stasera
allo Spazio Melampo (via Tenca 7) si ricorderà un decennale: quello dell’addio
di Salvatore Guglielmino detto Turi, grande storico della letteratura italiana
e autore della mitica “Guida al Novecento”. Con Mario il Tomasoni e con alcuni
amici e colleghi ci sarò anch’io, che mi impegnerò a onorarne la memoria, come
è giusto. Guglielmino è stato un grande. Grande uomo, grande siciliano, grande
italiano, grande studioso, grande uomo politico nel senso più nobile del
termine. Guai a lasciarci sfuggire dall’elenco dei nostri miti gli
intellettuali come lui. I giovani della rivoluzione antimafiosa (che non
furono, come già detto, D’Antoni e Bonanni) lo amarono più di Sciascia perché
molto più generoso di Sciascia, con il quale pure collaborò a un’opera
fondamentale sui “Narratori di Sicilia”.
E a proposito di antimafiosi, lasciatemi gridare la vergogna di una minoranza
che a Milano pretende che a presiedere la commissione consiliare antimafia non
sia David Gentili. Gentili viene accusato di una colpa imperdonabile: avere
chiesto lumi pubblici al consigliere Vagliati, Pdl manco a dirlo, ritratto in corrispondenza
d’amorosi sensi con esponenti della ‘ndrangheta. Come si è permesso l’esponente
piddino? Non lo voteremo mai come presidente, minaccia il centro-destra. Anzi,
non permetteremo nemmeno che si faccia la commissione. In realtà io mi ero
permesso (ricordate?) di spiegare che la costituzione, stramba assai, di una
commissione consiliare antimafia permanente
avrebbe esposto esattamente a questi rischi, al cecchinaggio o al ricatto
quotidiano. E avevo fatto la mia proposta: si voti una commissione di inchiesta
mista di consiglieri (una minoranza) e di esperti esterni (più numerosi) e poi
via, la si faccia lavorare. Non ero stato creduto, avevo pure subito qualche
sarcasmo. Pazienza. Ora che è scattata la discriminazione però bisogna dirlo:
la commissione consiliare s’ha da fare e il suo presidente non può che essere
Gentili. Augh, ho detto.
Nando
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