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Per una città dell’uomo: raccontini di vita milanese
21 dicembre. No, non vi dirò che tra quattro giorni è Natale.
Ma che oggi è la giornata più corta dell’anno. Da domani riprendono ad
allungare, fino ai tramonti infiniti e meravigliosi di giugno. Ma non è bellissimo?
A volte penso che, come non ci meritiamo la democrazia, non ci meritiamo
nemmeno la natura. E nemmeno le sue gioie supreme, tipo i bambini. Sentite qua
che cosa ho visto. Ero sulla 94, linea d’autobus in genere non particolarmente
affollata. Però stavolta lo era, o meglio così sembrava. Perché sopra c’erano
due anziane signore che si appoggiavano ai treppiedi. Visto che sulla strada c’è
il Policlinico, nulla di strano. Certo prendevano spazio e obbligavano i
passeggeri a più attenzione e a movimenti difficili. Ma soprattutto, mi sono
accorto dopo, i movimenti collettivi e di ciascuno erano quasi impediti dal
fatto che sull’autobus ci fossero pure due carrozzine con relativi bimbini, una
mamma bianca e una mamma di colore. E le carrozzine, si sa, non si possono
piegare, non possono fare contorsioni impossibili. Anzi, quando si muovono
obbligano tutti a farle per dare loro il passaggio. Evabbe’. Furente per il
disagio una signora sui quaranta-cinquanta, ha colto in una frazione di secondo
l’unica cosa che a suo giudizio poteva dire. Non poteva prendersela con le
anziane signore. Non poteva prendersela con le carrozzine (fossero state due mamme
di colore forse lo avrebbe fatto). E allora è sbottata di rabbia: “Ma ti pare
questa l’ora di portare in giro i bambini!”. Erano le nove del mattino. A che
ora si portano in giro i bambini? Alle tre di notte? Appena si fa buio? C’è un orario di coprifuoco
per i bambini? Neanche il piacere di vederseli intorno. Fottuti da un rancore
esistenziale. Poi, naturalmente, auguri a Natale…
Tutto il contrario di una mia studentessa. Era stata l’ultima a fare l’esame
con me ieri sera. Poi all’uscita l’ho ritrovata alla fermata dell’autobus e
abbiamo incominciato a parlare. Succede allora che dei tuoi studenti tu sappia
e apprezzi più di quanto è possibile durante un corso o durante l’esame. Mi ha
raccontato (mentre delle signore mi guardavano come se avessi abbordato una
ragazza sconosciuta…) che lavora quasi ogni sera, in un bar fuori Milano, un
luogo dove si fanno concerti. Chiamata di sera in sera, ma alla fine quattro
sere o cinque a settimana (ossia in nero). Lo diceva contenta, perché l’orario
le consente di seguire i corsi e di studiare. E perché può anche sentire i
concerti. Ci andrà pure la sera del 25, ma che importa, la vigilia sarà libera.
Restavo ammirato progressivamente dal suo racconto. Altre avrebbero detto che
gli tocca lavorare di sera, accidenti, proprio quando i miei amici escono e si
divertono. Avrebbero pianto (con ragione) che gli tocca lavorare pure a Natale.
Lei no. Mi danno sei euro e mezzo all’ora. Sa, alla fine messi insieme sono dei
bei soldini. E poi con la laurea in scienze politiche avrò qualcosa di meglio.
L’ho trovata stupenda, nel suo giubbino corto che la difendeva da un freddo
polare. Altro che il 27 con cui aveva chiuso l’esame le avrei dato. Ecco qui le
due umanità a confronto: “ma è questa l’ora di portare in giro i bambini?”, “sa,
alla fine messi insieme sono dei bei soldini”. Ma perché non farle vivere in
due città separate? Così la prima umanità si arrangia e la seconda vive come
merita. Lo so, non è esattamente un’idea natalizia. Però…
Nando
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