Save the children. Ma salviamoci noi, soprattutto…Ancora raccontino

 

Si avvicina il Natale. E ieri è stato il compleanno di un
grande giornalista dell’antimafia. Ebbene sì, avete capito bene: è stato il
compleanno -non chiedetemi quale perché non lo so- di Riccardo Orioles che mi
degna di frequentare questo blog e ogni tanto di lasciarci su i suoi sapidi o poetici
epigrammi. Auguri auguri auguri, caro eretico per bene, da parte di tutti i blogghisti bennati.
Nel mondo intanto il panorama è vario, e va dalle enunciazioni ondivaghe del
nuovo governo (che non è un Berlusconi senza cerone, sia chiaro…) al comico
intruppamento di B. tra le più alte cariche dello Stato alla cerimonia al
Quirinale fino alla scorta megagalattica di Alfano deputato semplice al suo
arrivo all’aeroporto di Brindisi. Gli piaceva il potere a questi, eh? Chissà
come si sentono vedovi e vedove certe personcine…
Io però più che ai vedovi di questi tempi sono indotto a pensare ai bambini. Ho
appena narrato del caso di isteria anti-infantile a cui ho assistito in
autobus. Oggi è capitato di nuovo, in treno. Mentre dormivo sul Roma-Milano mi
sono sentito toccare. Mi sveglio e vedo un bambino piccolo e sconosciuto che mi
fissa con l’espressione monella. Alzo lo sguardo e dietro di lui ce n’è un
altro più grande. E già sorrido incredulo. Alzo lo sguardo ancora e sopra di
loro c’è la mamma, una mia giovane amica. Bambini stupendi, dalla faccia
simpaticissima. Lei si siede accanto a me, dall’altra parte del corridoio, sono
anni che non ci vediamo. E inizia a raccontare del suo lavoro. I due si
intromettono, una volta uno batte perfino i piedi; insomma fanno i bambini. I
posti vuoti sono tantissimi, nessuno è costretto a spostarsi per quella breve
conversazione. Ma il fastidio per quei due pericoli in piedi nel corridoio si
materializza in quattro-cinque minuti. Nessuno sguardo affettuoso o cordiale.
Una giovane che legge un libro mostra ripetutamente impazienza, anche se non
gridano e non piangono e non le alzano la gonna. Un altro tipo giovane si
indigna anche lui. Sta scrivendo al computer. Ha appena finito di parlare con
tono zuccheroso con la figlia al telefono. L’ha invitata a stare vicina alla
mamma e le ha anche dato della “paraculetta” (ma come parlano questi sbandati
coi loro figli?). Morale: ce ne siamo dovuti andare davanti alle porte della
carrozza per finire la nostra conversazione, circondati dai due piccoli e temibili
sovversivi.
Ecco, quando dicono che le nuove generazioni non trovano spazio a causa del
modello economico o della crisi, non credetegli. In fede mia vi dico che l’emarginazione
dei giovani e il loro sfruttamento dipende da un fatto antropologico-morale. C’è
una società che ai giovani non vuole bene, non li ama (se non ciascuno i propri
figli). Gli adulti non amano i giovani e a loro volta i giovani non amano i
bambini. E’ terribile. Si è interrotto il calore che unisce le generazioni e
che porta quella che è venuta prima a essere generosa con quelle che la
seguono. La politica ha aperto la strada gettando un debito pauroso sulle
spalle delle generazioni che dovevano nascere. La società le è andata dietro.
Schizzi di pensiero, lo so, che ognuno può rivoltare invocando la complessità e
il bisogno di non generalizzare. Io invece penso che in certi momenti abbiamo
il dovere di generalizzare. O non capiamo più dove stiamo andando.

 

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