Morire a Natale, scoprire il Natale. Giorgio Bocca e altri buoni sentimenti

 

Se ne è andato Giorgio Bocca. Mi convinco che c’è un qualche
misterioso rapporto tra il giorno o il periodo in cui si muore e ciò che ha nel
cuore la persona che se ne va. Andarsene a Natale, per esempio. Perché cedere
proprio nel giorno della festa? La Grotta, dico, c’è la Grotta, dovrebbe essere
vietato morire di Natale. Ricordo un amico caro, molto più anziano di me, Gianfranco
si chiamava, di cui scrissi a suo tempo su questo blog. In poco tempo era
passato dalla vitalità più prorompente alla stanchezza di vivere. Andai a
trovarlo in agosto, disse la sua stanchezza, morì pochi giorni dopo. Nel cuore
dell’estate, con Milano vuota come una vasca, perché nessuno potesse vederlo in
quello stato di spossatezza. Ieri ho saputo che se ne è andato il padre di
Lorenzo, storica figura del mondo di Libera e di Libera Informazione. Una
malattia lunghissima, finita proprio in vista del nuovo Natale. “I medici
dicono che può morire da un minuto all’altro” spiegava da mesi Lorenzo. “Da un
minuto all’altro”, appunto. Giusto alla vigilia di Natale. Forse perché Natale
è per tutti l’infanzia, è le labbra aperte per la meraviglia, e nell’infanzia
non si muore mai, si muore solo per finta. E si smorza nella poesia anche il
dolore, come in Pascoli, come in Lorca. Te l’ho detto, Lorenzo: fingono di
andarsene e poi si mettono dentro di noi.
Bocca il partigiano, Bocca l’intellettuale libero, ha scelto pure lui il
Natale. Ha voluto inconsciamente resistere -anni, e che anni- per potere
scrivere in difesa della Resistenza oltraggiata dall’ imperio dei cortigiani.
Per tenere alta la memoria sfregiata delle valli e degli eroismi piemontesi,
lui che era tra i pochi superstiti di quella stagione che onorò l’Italia. E chi
era mai Duccio Galimberti per le olgettine e i loro utilizzatori finali? Forse
che gli antifascisti non erano stati mandati nelle isole “in vacanza” a spese
dello Stato? Bocca soffriva, si consumava, sentiva di avere vissuto in un mondo
ormai privato del suo senso, e
tuttavia difendeva con prosa sfolgorante gli ideali della minoranza che rifece
l’Italia. Alla fine B. e la sua corte nottambula se ne sono andati. Sono
arrivate persone del mondo normale. E il vecchio Giorgio ha pensato di potersi
riposare: lui aveva combattuto la buona battaglia. La sua memoria non era più
così urgente. Ora fate voi. Mi piacerebbe rievocare qui i miei rapporti con
Bocca, ultimo intervistatore di mio padre a Palermo e mio primo intervistatore
poche settimane dopo, testimone della mia vita che svoltava. Ma non lo farò
perché non c’è spazio. Perché a Natale si muore ma si nasce anche. Si rimisura
la vita, soprattutto. E si riscoprono le cose, chi ci riesce. Stupenda la
vigilia di ieri sera all’Ostello Bello. Qui il Gracco e i suoi  pregiati soci hanno convocato i familiari e li
hanno mescolati a cena con i giovani ospiti. Argentini, australiani, cinesi,
giapponesi, brasiliani e altri ancora, italiani perfino; tutti strabiliati di
quella festa familiare in cui erano stati coinvolti e con la felicità negli
occhi. Felice pure la biondina, che aveva dovuto preparare due antipasti per
ottanta persone. Pure la signora che aveva fatto le orecchiette. E quella dell’insalata
di polipo. Solo una ragazza australiana se ne è andata a letto prima. Ha avuto
una botta di nostalgia dei suoi genitori. Pure questo capita a Natale. Anche
che riparta un malese giunto dall’India in bicicletta. Cinque mesi di viaggio.
Capito perché il Gracco sostiene che i viaggiatori sono la categoria umana che
merita più considerazione? Altro che gli avvocati o i professori universitari…
Buon  Natale, amici.

 

Leave a Reply

Next ArticleBocca e il Generale