Il profeta antimafia. Del “noi” (pubblicato sul “Fatto quotidiano” di oggi)

 

Dicono sia un moderno profeta. Certo solo lui poteva
piantare nel mezzo di un libro sulla speranza una frase come questa: “A volte
mi chiedo –e credo che dobbiamo farlo con rigore- se tra i ‘nemici’ della
‘lotta’ alle mafie non ci siano anche le associazioni antimafia, quando evitano
le fatiche del lavorare insieme e sacrificano il ‘noi’ ad interessi individuali
o di gruppo”. Solo lui poteva sferzare associazioni, gruppi e cooperative,
chiedendo loro di non “adagiarsi nell’autoreferenzialità, che è fatta anche di
egoismi, di piccoli e grandi opportunismi, di comode convenienze”. Non altri,
certo. Parole non consentite ai professionisti della collusione o del quieto vivere.
Ma che diventano spinta inesausta in bocca a chi da più di quarant’anni si
batte contro ogni tipo di mafia, da quella che disfaceva di eroina i ragazzi
che il gruppo Abele si prodigava a salvare a quella che ha ammazzato centinaia
e centinaia di persone note e anonime e a cui lui, con Libera, ha voluto
dedicare un giorno all’anno per ridare nome e memoria e dignità a ciascuno.
La speranza non è in vendita si
chiama questo libro scritto da don Luigi Ciotti per la casa editrice Giunti. Un
libro che è un fremito continuo, attraversato da una passione che predica pace
e non la trova. Passione per gli ultimi, prima di tutto. Con i quali bisogna
mischiarsi, ai quali si deve rispetto sempre, anche quando occorre imporre il
primato delle leggi. Gli ultimi con i quali l’uomo di chiesa deve sapersi
schierare, altro che gli stereotipi sui preti di trincea o di strada, chi
annuncia il vangelo non può che stare sulla strada. Gli ultimi che vanno difesi
anche dalla legalità quando questa diventa strumento per emarginare o umiliare,
tradendo lo spirito della Costituzione. Passione per la Costituzione, inconsueta
in un prete. Figlia della Resistenza, opera letteraria, legge suprema, vero
testo dell’antimafia. Che “non intimorisce, né blandisce” ma “fa appello alla
nostra coscienza”. E passione per la legalità, purché intrecciata con la
giustizia sociale. Per la legalità reclamata dai lenzuoli bianchi di Palermo o
dai giovani di Locri, non quella che arriva come un tallone d’acciaio a
schiacciare la dignità dei migranti. Perché quasi ogni parola nella vita priva
di bussola etica può significare una cosa e il suo contrario. Solo di alcune
parole si fida, don Ciotti. Responsabilità, giustizia sociale e soprattutto
“noi”. Il noi che accomuna, che costringe a dar conto, a pensare per gli altri.
Il noi non come corporazione, come partito, come gruppo chiuso. Perché quello è
solo un “io” che si maschera allargandosi. Il noi sono le diversità che si
uniscono. Diversi come essere umani, uguali come cittadini, scandisce il moderno
profeta.
Sono molte le massime involontarie che si incidono nella mente di chi legge.
Anche chi ha sentito spesso parlare don Ciotti -ed è il caso di chi scrive-
rimane sorpreso dal nitore e dalla densità dei concetti che arrivano d’improvviso
come fermi immagine a fissare la passione. Non il discorso fluviale e ispirato
che cattura le platee. Ma un ragionare serrato che spazia nella storia del
pensiero, da Platone a Sant’Agostino, e soprattutto dell’azione, da Carlo
Rosselli a Martin Luther King, da don Tonino Bello ad Antonino Caponnetto. Che
con rispetto ma senza alcuna sudditanza culturale entra in dialettica con le
culture e con i poteri del paese. Che affonda  nelle pieghe della sua crisi. Per ricordare
che è crisi soprattutto morale. Dalla quale si può uscire se non si scambierà
più la speranza con l’illusione elargita dall’alto con un sorriso. Perché la
speranza è fatica, progetto, costruzione. E le radici della crisi sono lunghe,
ricorda l’autore, che non per nulla ripesca una manifestazione contro la mafia
a Locri del 1970 e una denuncia della democrazia dell’applauso, firmata
Norberto Bobbio, 1984. Tanti anni prima di Berlusconi. Il passato pesa. E sperare,
come hanno fatto i giovani delle cooperative sui beni confiscati, significa
mettersi in gioco, impegnarsi. Tutti. “Noi”.

 

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