Il network che salva i casalesi (scritto sul “Fatto Quotidiano” di ieri 14.1.12)

 

Ma è stato “solo” un istinto di casta quello che ha portato
il parlamento a sottrarre Nicola Cosentino alle leggi della Repubblica? A
salvarne uno per completare il suicidio collettivo? Chi conosce un po’ storia e
personaggi del parlamento italiano sa quanto questo istinto sia potente. L’idea
che domani possa capitare a me o a te, a qualcuno dei nostri. L’idea che la
nostra dignità costituzionale ci ponga al di sopra delle leggi. L’idea che
tutto questo si possa chiamare “garantismo”. Lo stesso a cui non per nulla si è
appellata la Lega del cappio e di Roma ladrona.
Ma dietro il caso Cosentino c’è altro. C’è la storia di lealtà e solidarietà
che si radicano nelle fibre più intime del potere. Fibre invisibili,
inconfessate. E forse, per iniziare a capire, conviene tornare a quella
riunione segreta venuta a galla nel luglio del 2010 e che proiettò sull’Italia
l’immagine di qualcosa di simile a una nuova P2; una P3, come si disse. In
quella riunione a Roma si erano trovati in otto. Ripassiamo i nomi. C’era Denis
Verdini, vero coordinatore del Pdl, referente della cricca dei costruttori.
C’era Marcello Dell’Utri, ispiratore del progetto di Forza Italia e poi
condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. C’era
Flavio Carboni, uomo P2, con la sgradevolezza di essere stato condannato in
primo grado (ma poi assolto) per l’omicidio del “banchiere di Dio” Roberto
Calvi. C’era il governo, nella persona del magistrato e sottosegretario alla
Giustizia Giacomo Caliendo. C’era un altro esponente del ministero della Giustizia,
nella persona di Arcibaldo Miller, capo degli ispettori ministeriali. Poi
Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione e già presidente
dell’associazione nazionale magistrati. Infine c’erano due signori campani sconosciuti
alla quasi totalità dei cittadini italiani. Uno era Pasquale Lombardi, l’altro
Arcangelo Martino. Il primo autonominatosi giudice tributario, in quanto membro
di commissioni tributarie, ed ex sindaco di un paese irpino. Il secondo
“imprenditore” e piuttosto anonimo ex assessore socialista. Che cosa accomunava
i due? Essere stati tra gli sponsor più
intransigenti della candidatura di Cosentino a presidente della regione Campania.
Bene. Che ci facevano insieme persone tanto diverse? Note e sconosciute,
interne ed esterne alle istituzioni? Secondo quanto sostengono i carabinieri,
si stavano occupando di due cose: a) pilotare nel verso giusto la sentenza
della Corte Costituzionale sul lodo Alfano; b) salvare la Mondadori dal suo
spaventoso debito verso l’erario. Insomma, stavano lavorando per “Cesare”, come
lo chiamavano, che sempre secondo i carabinieri era Silvio Berlusconi. Uno
scenario inquietante: magistrati misti a personaggi che, direttamente o
indirettamente, evocano comunque all’osservatore l’ombra, nell’ordine, della
Cricca, di Cosa Nostra, della P2 e dei Casalesi. Tutti insieme per concordare come
influenzare l’ organo supremo della giurisdizione repubblicana.
 

Ecco, i due sponsor di Cosentino fanno parte di quel ristrettissimo nucleo di persone che in quel momento (nemmeno due anni fa) rappresenta il potere politico vero, un gradino sotto Cesare. Ne spartiscono e ne custodiscono i segreti. E’ a queste stanze che bisogna andare per capire le ragioni del suicidio di una classe politica. Al network micidiale di poteri che opera a Roma all’ombra dei Palazzi istituzionali, con i quali ha frequentazioni continue (Lombardi era un vero accalappiatore di alti magistrati e consorti in convegni “scientifici” da officiare in località di lusso). Di qua gli ambienti più contigui alla sfera illegale del Paese. Di là una pletora di magistrati distaccati ai ministeri, consiglieri di Stato, magistrati Tar, che amministrano i poteri di governo assai più dei sottosegretari e di quasi tutti i ministri, unica eccezione quelli che possono incidere sulle loro carriere. Questi due mondi si incrociano di frequente, non tutti con tutti, si capisce. Non sempre per progettare o commettere reati, a volte solo, “innocentemente”, per sistemare un figlio o trovare una casa. Ma garantendo sempre la possibilità di passare facilmente da un estremo all’altro del network.
Per capirsi: i Casalesi avranno anche dato un impulso formidabile alla fase della cosiddetta camorra-impresa, disseminando i loro capitali in attività economiche di ogni tipo in tutto il paese, da quelle immobiliari a quelle commerciali, e mescolandosi con ogni tipo di potere, accumulando un grande potere di ricatto. Ma è a quel network che bisogna andare. E’ quel luogo inafferrabile -abitato non dalle “multinazionali” ma da persone spesso mediocri e sconosciute- che unendosi allo spirito di casta ha rovesciato i pronostici salvando Cosentino. E ci ha consegnato questa terribile immagine dello Stato: carabinieri, polizia e magistrati (quelli regolarmente accusati dai colleghi del network di volere “far carriera”) che arrestano uno dopo l’altro tutti, ma proprio tutti, i capi dei casalesi; e il parlamento che mette in salvo il loro referente politico.

Leave a Reply

Next ArticleSoddisfazioni. Ovvero pillole di ottimismo domenicale