Daniela fulminata sulla via di don Gallo

 

Il Fatto Quotidiano
15.1.2012
Dai lussi e dalle luci di un centro benessere alla tana del
lupo, dove la vita sa di sgarri e promiscuità. Una storia così è difficile
trovarla. Ancora qualche giorno e Daniela ci si troverà in mezzo, costretta a
imparare subito a nuotare. Parliamo di Genova e del suo centro storico, dei
suoi intrichi di vicoli proprio sotto via Garibaldi, la strada sfarzosa che
allinea i magnifici palazzi delle grandi famiglie mercantili di un tempo. Ecco,
tra quei dedali che evocano De André c’è la famosa via della Maddalena, lunga e
stretta, su cui si affacciano e brulicano prostitute di ogni paese, argine involontario
all’insicurezza in una zona rinomata per spaccio e per degrado. E proprio in
quel ginepraio di muri a poche decine di metri dal Comune, sta iniziando una
sfida. Un bene confiscato alla mafia in vico Mele, tra via delle Vigne e via
San Luca, appena sopra via Banchi, destinato a esercizio commerciale.
Obiettivo, portare fin qui i prodotti ottenuti su altri beni confiscati a
mille-milleduecento chilometri di distanza e anche quelli del commercio equo e
solidale, che arrivano da infinitamente più lontano.
Un progetto dell’amministrazione Vincenzi. Una bottega della legalità e della
solidarietà come leva per costruire con alcuni commercianti volonterosi un vero
e proprio distretto della legalità, che sradichi il degrado e l’insicurezza dal
basso. Un progetto a lungo contrastato. Chi non ci credeva, chi aveva messo gli
occhi sull’immobile, chi dava ormai per persa la zona. E tutti con una sola
domanda che sembrava tagliar la testa al toro: ma chi pensate mai che accetterà
di aprire un negozio in una zona che i genovesi normali evitano come la peste?
Chi verrà qui a rischiare vandalismi e intimidazioni per poi dovere chiudere
baracca e burattini in pochi mesi per mancanza di clienti? La risposta è
arrivata. Lo fa una cooperativa legata alla comunità San Benedetto di don
Gallo. “Il pane e le rose”, si chiama, società cooperativa sociale. E in prima
fila lei, Daniela Demartini, ai confini dei cinquanta, statura minuta, occhi
verdi e capelli rossi. E alle spalle una storia che arriva da un mondo totalmente
agli antipodi. “Ho fatto la direttrice di hotel, e mi piaceva. Poi la vicedirettrice
commerciale per l’Italia di una multinazionale spagnola dei centri benessere,
che andava dall’estetica alla chirurgia plastica. Quindici anni da manager, che
ho amato come amo tutte le cose che faccio. Mi piace gestire le risorse umane,
seguire la formazione delle persone. Lo imparai già nella mia prima vita,
quando facevo l’allenatore di ginnastica -sì, ho fatto la vecchia Isef- e mi
trovai a formare gli allenatori della federazione a livello regionale, ero nel
giro delle nazionali. Ho sempre creduto nel lavoro di gruppo. Finché è arrivata
l’ora di un altro gruppo, la comunità di don Gallo. E ho piantato tutto. Perché
in cuor mio ho sempre saputo che prima o poi, chissà come e chissà quando, sarei
andata a lavorare con lui, col ‘don’. Così all’inizio del 2011 sono andata in
canonica a presentarmi. Ho conosciuto la Lilli e sono rimasta folgorata dall’accoglienza.
Poi sono andata alla sede dell’Udi, al centro antiviolenza delle donne
maltrattate. Sei mesi di corso per formarmi. Uno e due. Volontaria dell’accoglienza
all’Udi e volontaria di don Andrea. Mi sono emozionata quando me l’ha chiesto
perché per me lui è sempre stato un punto di riferimento, pure da lontano; anche
se non lo avevo mai conosciuto di persona. E così ho iniziato a fare il lavoro cosiddetto
di distribuzione per tutta la settimana, che è un’attività storica della
comunità, si portano gli oggetti e il vestiario ai bisognosi, e in più una sera
a settimana facciamo l’unità di strada, in tre a dare vestiario e ascolto a chi
sta all’addiaccio”.
“Dice che non ho l’accento genovese? Ma io sono genovesissima. E’ che ho girato
l’Italia per il mio lavoro, Milano, Brescia, e un po’ di accento l’ho perso. Ma
tutto questo lo sto facendo proprio per la mia città. Lo so che questa nuova sfida
è difficile, però mi appassiona, proprio perché penso di potere contribuire a
rendere Genova più accogliente. La gente dovrà venire alla Maddalena non solo
per comprare i nostri prodotti, i vini pugliesi o siciliani o i ceci o la pasta
delle cooperative o le caramelle allo zenzero di Santo Domingo; non solo per
quello che rappresenta idealmente un bene confiscato, ma per ritrovare il
piacere di girare per questi vicoli. Vede, il negozio non è grande, ma noi ne alzeremo
il valore facendo commercio e cultura insieme. Prodotti di rigatteria, riviste
e libri, anche. E stringendo rapporti con gli esercizi intorno. In questo penso
di essere brava”.

 

La ex manager ha fatto direttamente tutti i progetti. Ha calcolato i costi, programmato i lavori di adattamento dei locali, i prezzi, le necessità logistiche, i luoghi di esposizione nel punto vendita, ha riempito tabelle puntigliose, ha predisposto l’elenco delle mercanzie che si troveranno in vico Mele. “Qui il Comune ha previsto un incubatore di imprese, e bisogna scommetterci, perché questo è il punto della mia città che amo, perché” e qui la voce le si incrina,  “il nostro centro storico merita rispetto, voglio che ciò che ho dentro diventi concretezza, voglio che l’indignazione che provo, che è tanta, diventi azione”. Il 26 pomeriggio verranno in tanti a farle gli auguri per l’inizio della grande avventura: don Gallo, don Ciotti, la sindaco Vincenzi, c’è già una studentessa genovese che ci sta facendo la tesi sopra. Una festa di vini e marmellate. Per scaldarsi. Poi, per Daniela folgorata sulla via di don Gallo, sarà mare aperto.

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