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Coppole, lupare e lungomari. Memorie reggine
Confermo che a Reggio Calabria è cambiata l’aria. Ci sono
stato giovedì sera e venerdì mattina per il convegno organizzato dal museo
della ‘ndrangheta. Idea, questa del museo, che può lasciare un retrogusto
allappato, ne convengo. Poi ti accorgi però che non è come il museo della mafia
di Salemi inventato da Sgarbi. C’è un lavoro, uno scavo teorico, di antropologia
e pedagogia. Giovani donne cosmopolite, da Maria a Grazia, che ti mettono le
vertigini per le lingue che conoscono e per i paesi in cui hanno studiato o con
cui tengono contatti. C’è quest’aria di grande cultura giudiziaria palermitana
arrivata con Pignatone e Prestipino, procuratore e vice, votati a vivere come
monaci, con la famiglia lontana, per non farsi irretire da una società che ha
sempre mescolato di tutto. Avverti come un’aria di Falcone che attraversa i
decenni e pensi che nulla muore mai davvero, meno che mai ciò che è il prodotto
di intelligenze e sacrifici. Dobbiamo all’intuito e all’esperienza di Pignatone
se non ci beviamo più la storiella che la ‘ndrangheta è una confederazione di ‘ndrine
autonome senza un luogo di governo centrale. Storiella che però -vi prego di
controllare- trovate su tutti i libri scritti sulla ’ndrangheta fino a un anno
fa, roba che un po’ imbarazza. Pignatone è piacevolissimo. Secondo me (ma non
gliel’ho chiesto) siamo anche stati compagni di liceo, non di classe ma di
scuola, nel mio unico anno scolastico palermitano. Mi ha raccontato un episodio
che mi ha fatto scattare con orgoglio in un “lo dicevo io!”. Che cosa dicevo?,
vi chiederete voi. Dovete dunque sapere che da un paio d’anni, quando giro per
le mie serate anti-‘ndrangheta (formidabile per partecipazione quella di Desio
di venerdì scorso) così ammonisco gli astanti: “diffidate di quelli che per
spiegarvi che cos’è davvero la mafia
esordiscono dicendo con sussiego che la mafia oggi non è più quella con la
lupara e con la coppola. E aggiungono che oggi la mafia ha rapporti con la
finanza e con la politica”. Già: oggi
ha rapporti con la finanza e con la politica. Perché, chi erano più di trent’anni
fa fa Sindona e Calvi? E chi era Andreotti? Panzane. Condite dalle allusioni a
poderose trasformazioni antropologiche del mafioso: ormai in doppio petto e
dotato di inglese fluente. Poi lo vedete nei filmati, lo sentite nelle
intercettazioni e capite che veste come sempre e parla come sempre, anche
quando usa skype. Ha anche la coppola, spesso, sissignori. Ebbene, Pignatone mi
ha raccontato che una volta hanno preso un imprenditore mafioso (ossia il
mafioso più nuovo che più nuovo non si può…) mentre dormiva sul divano con
accanto proprio una lupara. Quante fesserie che si dicono…Diffidate, gente,
diffidate.
Non ho diffidato io della notte reggina, venendo dalle nevi nordiche. E con
Pierpaolo Romani di Avviso pubblico e Vittorio Mete, sociologo di Catanzaro, mi
sono fatto il meraviglioso lungomare che dà sulle luci di Messina. Diciassette
gradi impreziositi di ricordi e di amicizia. E della storia di quell’assessore
alla cultura che, per citare D’Annunzio (“il chilometro di lungomare più bello
d’Italia”, mi sembra) disse stentoreo “Il chilometro di lungomare più lungo d’Italia”.
Quando si dice la cultura…
Auguri al grande Fabio per i suoi sessanta! Il pezzo domenicale sul Fatto? Uscirà
martedì…
Nando
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