Bologna, due giorni in paradiso. E la festa delle smutandate

 

Giovedì 9, venerdì 10. Ho passato a Bologna due giorni tra i
più interessanti e felici della mia vita. Una trentina di docenti e
ricercatori, quasi tutti sociologi di mafia, corruzione e affini, giovani e
maturi (diciamo così), messi insieme a discutere i risultati più recenti delle
loro ricerche e dei loro studi. Da Palermo a Oxford, come mi è piaciuto subito
di osservare. Riuniti presso l’istituto Cattaneo e poi la Hopkins University da
Marco Santoro e Rocco Sciarrone. Con Alessandra Dino, Umberto Santino, Antonio
La Spina, Alberto Vannucci e molti altri. Mi sarebbe piaciuto trovarne ancora
di più, ma è stato bello così. Era la prima volta. Non i convegni mastodontici
dove uno arriva, fa la sua relazione, magari il suo comizio, poi, mentre sta
parlando il nuovo relatore, si alza per andare a farsi intervistare dalla tivù
più scalcagnata e dozzinale al mondo, oppure confabula col vicino. Ma scusate,
che ve ne pare di decine di persone che per due giorni interi si ascoltano
tutte con attenzione e competenza, si pongono reciprocamente problemi sulle
cose dette, si criticano educatamente (anche duramente) ed educatamente
ascoltano le critiche, dove nessuno fa il piazzista di bufale , dove non
compare l’ombra di un amante (con o senza apostrofo) e si immagazzina tutto
perché quel che si è appreso diventi utile per gli studenti e altri ricercatori
sparsi per l’Italia e non solo? A me sembrava di stare in paradiso. In
parallelo, a qualcun altro, alla festa del Pd a Napoli, sembrava la stessa
cosa, leggo sui giornali, ballando o guardonando tra gruppi di smutandate tacco
12 (ricordate, poveretti: la femmina è tacco ma la donna è sandalo…).
Però, giuro, non sapevo nulla di queste strazianti immagini quando mi è venuto
spontaneo di confrontare la nostra discussione con quella di anni in
parlamento, dove ogni imbecille può prendere la parola su tutto, anche su ciò
di cui nulla sa e insultare come un tamarro il poveretto per bene che si è
studiato gli atti e che magari ha un suo prestigio internazionale (capita,
capita). Ecco le poderose radici di un’ incompatibilità. L’idea -folle, lo
ammetto- che sarebbe giusto discutere in politica come tra studiosi. Con più
sangue e passione, certo. Ma non fino a votare che una prostituta è la nipote
di Mubarak o urlare “assassino” all’indirizzo di Beppe Englaro.
Sangue e m…., per dirla alla Peppino Impastato, è invece la mafia. Questo ho
pensato di getto quando ho letto che i magistrati si sono convinti di quel che molti
di noi avevano subito intuito: che Maria Concetta Cacciola, la giovane mamma che
si è suicidata a Rosarno con l’acido muriatico, lo ha fatto costretta dalla
famiglia che voleva costringerla a ritrattare le cose dette ai magistrati.
Sacrificare la figlia al moloch dei Pesce-Bellocco, il potente clan locale.
Altro che la giustizia alternativa e tutte le varie panzane d’epoca. La mafia è
questo. Raccontiamolo ovunque…

 

Leave a Reply

Next ArticleLa libertà passa per Budapest. E per Mosca...