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Grazia e gli Evergreen. La musica allunga la vita
Il Fatto Quotidiano
19.2.2012
Ma quali Platters, ma quale orchestra venezuelana di Dudamel.
Qui c’è la magia dell’età. Perché in questa storia di musica e spettacolo la
mascotte ha superato i settantacinque, e gli altri vanno fino e oltre i
novanta. Ogni tanto ne manca pure qualcuno, per cause naturali. “E noi lo si
saluta cantando in chiesa”. La città è Livorno, e viene subito in mente la
beffa sublime delle finte teste di Modigliani fatte dai tre ragazzi che le
gettarono nei fossi per poi godersi a crepapelle i massimi critici che le
dichiaravano autentiche. Ma non c’è beffa. Chi parla è proprio la più giovane
degli Evergreen, Grazia Picchi. Si indica nella foto di una delle più
applaudite performance del coro: “Lo vede? Io sono quella lì, in seconda fila,
con i capelli bianchi”. Vaga indicazione perché, come osserva la figlia, “di
capelli corvini non ce n’è”. Ma la signora Grazia muove il dito con orgoglio. Eccola
in fondo a sinistra. Tre-quattro file, un po’ in disordine, tutti in piedi con
le braccia distese sulle gambe. “Ma non siamo sempre tutti in piedi”, spiega, “ogni
tanto due se ne stanno sedute sulla seggiolina”. Decisamente più donne che
uomini. E’ una delle tre esperienze di coro dirette in città da Cristiano
Grasso, un insegnante di sostegno alle scuole medie con la passione della
musica e del canto. Volontariato di qualità: stare insieme, sempre in sfida con
se stessi, invece che chiudersi in casa davanti alla tivù. Aiutarsi a superare
con il canto i problemi e le insicurezze di ciascuno. A novembre i tre cori di
Grasso, “Springtime”, “Musictime” e appunto gli “Evergreen” hanno fatto il
pienone al teatro Goldoni con lo spettacolo “America! All Around The Music”. Standing
ovation e per gli over 75 indimenticabili
emozioni da zecchino d’oro.
Grazia Picchi fa assistenza e qualche lavoretto casalingo, ricamo, non molto
ormai. Ha gli occhi scintillanti e modi raffinati, intinti nello spumeggiante
vernacolo locale. “Io ci ho sempre avuto la passione. Mi piace cantar da sola.
L’altro giorno un’amica mi ha chiesto che ci facevo in macchina con la bocca
aperta. E io le ho risposto ‘aspettavo il pesce’. Ma che domande. Cantavo, no?
Io sono di razza, mia mamma faceva il mezzo soprano. Prendeva due lire di
allora per andare ai matrimoni. E a me mi metteva bimbettina su un tavolo per
farmi cantare, e io dicevo ‘prima fatemi vedere quanto mi date’. Lei in foto ci
vede così, che siamo tutti un po’ su con l’età, ma è un successone, sa, quando
facciamo i nostri spettacoli. Quanti siamo? Le dirò una cosaccia: dai cinquanta
ai settanta, perché dipende da quanti stanno bene”. “Davvero vuole raccontare questa storia? La
racconti, perché ci fa figura. Perché noi sappiamo intrattenere anche i
giovani, siamo un po’ come loro. Ogni tanto si fa un po’ di indisciplina, come
a scuola, soprattutto le donne, pensi che l’altro giorno uno degli uomini,
ottantadue anni, ci ha dovuto riprendere: ‘bambine state ferme’. Ora si sta
preparando ‘Azzurro’, la canzone di Celentano, e siccome il maestro è un
creativo ce la sta insegnando così: ‘Dudududu’ fa sulle note, e poi ci dice
‘Siete voi il mio azzurro, bambine’, e noi ci divertiamo, e ridiamo, e ride di
gusto anche quella in prima fila che le è rimasto un dente solo. E’ un fenomeno,
il direttore. Salta e balla, partecipa, lui è un genio della musica, dice che
non esiste la persona stonata, che ognuno ha una sua armonia. Ah, siamo un
gruppo forte, e quando ci esibiamo si fa furore”.
Grazia Picchi è signora abbastanza conosciuta a Livorno. E’ la moglie assai più giovane di Leo Picchi, scomparso qualche anno fa, anomala e romantica figura dello sport cittadino. Cultore di greco e di latino, esperto di pittura, professione farmacista ma soprattutto, nella memoria popolare, calciatore. Titolare nel Livorno del dopoguerra, autore dell’ultimo gol in serie A prima del lungo declino, venne chiamato a vestire la sacra maglia granata dopo che l’aereo del Grande Torino si era schiantato su Superga. A sua volta fratello di Armando, l’indimenticabile capitano della grande Inter di Helenio Herrera. La casa di Grazia è un trionfo di foto dei due fratelli calciatori. Immagini di stadi, di coppe sollevate, di sorrisi di gioventù. Una vita intensa, difficile da dimenticare. Ricordi che peserebbero se non amasse dedicarsi al nipote Gregorio, un gioioso ragazzone che fa kick- boxing e che a sua volta ama passare a trovar la nonna a pranzo o a cena; o se non facesse volontariato presso una comunità di tossicodipendenti o una casa di riposo. “Io ho bisogno di fare cose insieme ad altri, il mio babbo era un socialista, e sono stata abituata a partecipare. Agli Evergreen mi sono iscritta quasi cinque anni fa. Facciamo tante cose insieme. Proviamo gli arrangiamenti del nostro direttore, musica moderna: Modugno, ‘Aggiungi un posto a tavola’, ‘La vita è bella’, le lagne di solito non le facciamo. Si va al Mascagni, il conservatorio, al mattino del mercoledì; siamo troppo vecchi per fare le prove di sera. Poi si fanno gli spettacoli in teatri, centri anziani, istituti per pensionati. Mica solo a Livorno. Siamo andati a Torino, a Lucca, a Rimini, a Firenze…Spesso per beneficenza. Offerta libera, ci paghiamo il pullman perché mica ce li dà nessuno i soldi, e con quello che resta facciamo un po’ di adozioni a distanza”. Avete capito, ora, perché altro che i Platters?
Nando
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