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I centomila che hanno invaso Genova. Ritratto dall’interno
Il Fatto Quotidiano
18.3.2012
Il fiume colorato di Libera a Genova? Raccontiamolo con le “s”. Successo, certo. In
un momento di vuoto della politica, di sbandamenti e frustrazioni,
l’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha raccolto intorno a sé a Genova
più di centomila persone provenienti da tutta Italia. Per dire no alla mafia e
per lanciare le sue proposte. Nessuna bandiera di partito, moltissimi
striscioni di scuole, dal Piemonte alla Sicilia. Ai livelli alti del paese
sembrano indaffarati a smontare leggi e processi e pubblica moralità. Il paese
più moderno e vitale raccoglie invece le forze per decollare. Libera come
speranza, dunque, perché il colpo d’occhio sull’immensa distesa del Porto antico
dava ieri il segno di un popolo dalle grandi radici. Di un popolo in cammino.
Libera come sentimento. Perché poi le radici stanno lì. In quelle centinaia e
centinaia di familiari i cui sentimenti sono stati colpiti dalla violenza
mafiosa. Sta lì la forza irriducibile, nella memoria del dolore, nella
richiesta di verità e giustizia che passa come in una staffetta omerica di
generazione in generazione. Ci sono i nipoti, ora, con le foto dei propri cari, tanti nipoti. Familiari che accolgono
altri familiari. Quelli delle nuove vittime di mafia o quelli che per la prima
volta trovano la forza di venire. Ma anche quelli di vittime delle violenze
dello Stato, perché nell’incontro di venerdì pomeriggio grande è stata la
commozione per la testimonianza di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, il giovane che
incontrò uno Stato inconciliabile con quello di Paolo Borsellino o di Roberto
Antiochia. Familiari che scoprono nelle parole di chi parla per la prima volta
una verità in più. Com’è avvenuto con Giovanni Gabriele, il giovane padre di
Dodò, il bambino di undici anni che venne ucciso durante una sparatoria tra
clan avversi su un campetto di calcio di Contorato, in provincia di Crotone.
Era il 25 giugno del 2009. “Non ne posso più”, si è sfogato Giovanni, “di sentir
dire che mio figlio è morto perché si è trovato nel posto sbagliato nel momento
sbagliato. Perché questo vorrebbe dire che è colpa mia, che ho sbagliato io a
portarlo al campetto di calcio. Ma dove deve andare a giocare un bambino? Dodò
non era nel posto sbagliato. Nel posto sbagliato c’erano gli assassini”.
Libera come solidarietà. La voglia di non guardare solo a se stessi. L’incontro
del venerdì si è aperto alle parole da
brivido di un giovane uomo messicano e di una giovane donna guatemalteca. Il primo,
Carlos Cruz, un gigante, ha raccontato di sé che da bimbo iniziò a spacciare in
cambio di una bicicletta, della banda da lui fondata e guidata da adolescente
per poi accorgersi, dopo alcuni anni, che dei ventisei di partenza ne erano
rimasti vivi tre. La scelta di cambiar vita, di educare per strada, il pianto
non trattenuto davanti al ricordo di un bambino a cui i nuovi trafficanti hanno
tagliato la lingua. Lei, Claudia Carrera, avviata alla prostituzione da ragazza
e ora, in lotta con la memoria di lutti e di violenze, impegnata in percorsi formativi
nelle scuole.
Libera, pure, come sindacalisti contadini. E’ stata una festa vera intorno a
Placido Rizzotto, nipote del dirigente contadino corleonese, di cui sono stati
trovati i resti dopo sessantaquattro anni e per il quale proprio l’altro ieri
il governo ha deciso i funerali di Stato. Già, perché questo popolo conosce
anche la gioia di ritrovare i resti, come era capitato d’altronde anche a
Ninetta Burgio di Niscemi: suo figlio Pietrantonio, cercato invano per
quattordici anni, venne alla fine ritrovato. Lo avevano ucciso innocente, solo
perché “sapeva”. Ninetta se ne è andata pochi mesi fa e gli altri familiari in
questi giorni l’hanno voluta ricordare con gli applausi che si riservano ai
vincitori.
E anche Libera come saggezza. Quando durante la discesa verso il Porto Antico un gruppetto di No Tav ha srotolato uno striscione enorme accusando i manifestanti per “la vostra legalità assassina”, nessuno ha fischiato. Certo, quello striscione buttato in faccia ai familiari di gente assassinata, al figlio di Pio La Torre, al nipote di Rizzotto, ai figli di Accursio Miraglia e di Nicola Azoti (altri sindacalisti contadini), o al fratello di Peppino Impastato, era una bestemmia da delirio. Ma la testa del corteo, fatta proprio dai familiari, lo ha applaudito come a porgere l’altra guancia. Finché dal gruppetto sono arrivati applausi.
E infine Libera come scandalo. Se quei familiari sono la storia insanguinata del nostro paese, ebbene, la politica ancora una volta ha detto forte e chiaro ai centomila che di quella storia non gliene frega niente. Che il sangue versato è affare di chi è caduto. Ieri a Genova, a parlamento chiuso, c’erano tre o quattro parlamentari e nessun membro di governo. Nessun leader politico né di primo né di secondo livello. Solo Romano Prodi è giunto venerdì sera alla messa in cattedrale. Per il resto spalle voltate. Poi, per riprendere quel che don Ciotti ha urlato dal palco, ci si chiede perché la mafia esista da centocinquant’anni…
Nando
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