Madrid, ristoranti “à la mafia”. Se lo studente batte l’ambasciata


Meno male che ci sono gli
studenti. Meno male che c’è l’Erasmus. Altrimenti ancora una volta
dormiremmo i sonni dei gonzi. Perché mentre tanti italiani si dannano a
combattere la mafia, altri -in casa e all’estero- lavorano con allegra protervia
a farne la legittima immagine del paese. Questione di soldi, di teste a
punta e di accidie diplomatiche.

All’origine di questa storia c’è un ragazzo di venticinque anni. Si chiama
Mauro Fossati ed è nato a Milano, radici un po’ brianzole un po’ venete. Ha la
faccia sveglia e impertinente. Studia comunicazione alla Statale di Milano. E
decide di andarsene all’estero in Erasmus. Destinazione Spagna, Universidad
Carlos III. Il luogo è “un incanto”, fa sapere, “nella cittadina di Getafe alle
porte di Madrid”. Un campus come mai ne ha visti in Italia. “Calcio, beach
volley, pallacanestro, nuoto. Accesso in piscina per cinque mesi tutti i
giorni a sessanta euro”. Quanto a Madrid, “in questa città i mezzi pubblici
funzionano benissimo, è una città molto pulita dove c’è quasi sempre il sole,
dove la gente esce molto e la socialità è molto importante”.

Quando però gira su internet per scegliere le
trattorie della sera,
 Mauro scopre con raccapriccio che qualcosa non funziona. Professore,
scrive, “
navigando nella rete mi sono imbattuto in un sito di una catena di
ristoranti italiani in Spagna, dal nome ‘La Mafia’, sono rimasto scioccato da
come viene utilizzata questa parola, diventata addirittura un marchio per
contraddistinguere la cucina italiana e noi italiani”.
 Gli viene
spiegato che succede anche in Italia. Che anche qua c’è qualche deficiente che
propone “la pizza alla mafiosa”, trovando regolarmente i deficienti che si
eccitano alla sola idea del nome. Mauro va a vedere di persona. E manda
messaggi sempre più increduli. 
“Le scrivo per
informarla che venerdì sono andato a mangiare al ristorante ‘la mafia se sienta
a la mesa’. Questa catena di ristoranti è composta da 35 ristoranti-pizzeria
dislocati in tutta la Spagna, un ristorante si trova anche nella città di Porto
in Portogallo. La clientela di ieri era prevalentemente composta da coppie di
tutte le età, i camerieri sono spagnoli e sudamericani, infine sono riuscito a
scoprire che il cuoco è italiano.  Sono rimasto basito dalla
semplicità con cui viene usato questo marchio ‘la mafia’, e dal fatto che all’
interno ci siano appese immagini di scene dove si baciano le mani, o si spara.
Un ristorante che rappresenta la cucina italiana e che ci rappresenta come dei
mafiosi, favorendo lo stereotipo all’estero che noi italiani siamo tutti così,
dei mafiosi!”.

E ancora:
“Quello che sono riuscito a scoprire finora è che questa catena è di
franchising […] 
Ho tenuto sotto controllo il sito de ‘la mafia se sienta a la mesa’ in
quest’ultimo periodo, hanno fatto nuove aperture di ristoranti e sono in grande
espansione, almeno così sembrerebbe”. (continua)


Si decide insieme che questa
potrebbe diventare materia per una tesi di laurea. Quali e quanti ristoranti?
Quali iconografie e strategie comunicative? Quali menù e clientele? Organizzati
da chi? Mauro
 registra: “Sono andato nel ristorante di
una Calle centrale di Madrid, quest’ultimo si trova in una delle zone più
ricche della città. Appena arrivato di fronte al ristorante, subito mi ha
colpito la vetrina con la scritta ‘la Mafia’ molto in grande e di colore bianco
su sfondo nero. Entrato nel locale, ho avuto la percezione di un ristorante
molto curato nei minimi dettagli e abbastanza di lusso, infatti anche il prezzo
non è molto economico. Quello che ha richiamato subito la mia attenzione sono
stati i numerosi quadri rappresentanti scene del film ‘Il padrino’. Oltre a
questi poster del film, in tutte le pareti ci sono le scritte dei più
importanti boss italo-americani, alcuni presi dalla pellicola e altri che penso
siano reali. Ho mangiato una pizza, fra l’altro molto buona, in un piatto che
mi ricordava dove mi trovavo, infatti era marcato ‘la mafia se sienta a la
mesa’. Terminata la cena, ha colpito la mia attenzione un articolo di giornale
incorniciato ed appeso al muro, che riportava in italiano l’articolo sulla cattura
di Al Capone”.

Ce la farà Mauro a laurearsi su
un tema così insolito? “Penso di sì, certo ogni pizza è stata una ‘cuenta’ e
non potevo esagerare, ma il materiale di ricerca raccolto è davvero
interessante. Ora però voglio andare prima a Dublino o a Londra a fare
un’esperienza di lavoro e imparare l’inglese alla perfezione. Se resterò a
lavorare in Italia? Non vedo l’Italia nel mio futuro. Tranne Milano, forse. Ma
dopo la laurea vorrei farmi un viaggio in Brasile, andare a trovare gli
studenti che ho incontrato qui a Madrid. E magari imparare il portoghese.
Quella è un’economia che si sta sviluppando moltissimo e potrei trovarci un bel
lavoro”. 

Qui
si chiude la storia privata di Mauro e inizia la nostra (inquieta) riflessione
pubblica. Ma davvero i rappresentanti ufficiali del nostro Stato in Spagna non
si sono resi conto di nulla? Davvero nessuno ha notato questo oltraggio
permanente alla storia dell’Italia migliore? Nessun funzionario si è indignato
per questo sconcio, ha pensato a qualche centinaio di vittime dello Stato che
pure rappresenta, ha forcato e brigato con le autorità spagnole, ha posto un
problema diplomatico? Quali licenze? Quali titolari veri e con quali
investimenti? Se è avvenuto, noi non l’abbiamo mai saputo. Noi abbiamo solo saputo
che la nostra immagine era rovinata all’estero dalla “Piovra” e da“Gomorra”.
Meno male che c’è l’Erasmus. Meno male che ci sono gli studenti.

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