Del Bossi a sua insaputa e di qualche piacevolezza

 

E adesso che cosa vorrebbero farci credere? Che Umberto Bossi
era incapace di intendere e di volere, poverino, dopo l’ictus (o quel che fu) che
lo colpì una notte ormai lontana? Se qualcuno di noi avesse azzardato una
simile ipotesi, fino a qualche giorno fa sarebbe stato zittito e seppellito di
insulti. Abbastanza giustamente. Ora invece la tesi viene avanzata senza
pudore. Lui era malato e non poteva rendersi conto, tutto avveniva a sua
insaputa, magari sotto la perfida regia della moglie Manuela, siciliana, e
della amica Rosy Mauro, pugliese. La prova del nove che questo sud bisognerebbe
ammazzarlo veramente in culla. Che pena. E chi lo avrebbe conservato segretario
e padrone assoluto della Lega, che ancora recentemente poteva ordinare a Maroni
di non fare più incontri ufficiali? Chi lo ha fatto ministro? Chi lo
autorizzava a dettare la linea dei rapporti con B., a fare strategie per la
Lega, compresa quella delle mani libere per le prossime amministrative? Forse
la moglie o Rosy Mauro? E il Trota, quel genio, l’avevano candidato a sua
insaputa? Il guaio è che la famiglia Bossi, il simbolo più alto della “rivoluzione
padana”, ha fatto esattamente quello che fa la più classica e impiastrata
famiglia meridionale: si è ciucciata abusivamente i soldi pubblici. Nata per
liberare il nord dalla zavorra clientelare-assistenziale, la Lega ha visto la famiglia
del suo capo carismatico farsi uguale alla zavorra. Soldi dei contribuenti
usati per dare consulenze in famiglia, per comprare auto in famiglia, per assicurare
carriere in famiglia, per dare sovvenzioni in famiglia. Urlavano contro le auto
blu pagate dai contribuenti, e li hanno costretti a pagare perfino le auto
private. Riflessioncina a margine: correva la primavera del 1993 quando Umberto
Bossi mi chiamava (nell’indifferenza generale dei politicamente corretti) “Nando
dalla Cosa Nostra”. E lo faceva con gusto, con la ferocia di chi sa con che
insulto sta ferendo l’avversario; proprio come gli ex terroristi sanno che cosa
stanno facendo dire di Caselli quando imboccano i giovani estremisti no-tav con
quel “Caselli mafioso”. Ora sappiamo che il tesoriere della Lega, scelto da
Bossi e che curava gli affari di famiglia (la “family”), membro di governo, era
socio in affari, e a che livello!, con l’uomo della ‘ndrangheta, il fiduciario
della potente famiglia dei De Stefano, signori storici di Reggio Calabria. Cosa
Nostra? Mafiosi? Ecco ora  chi ce li
porta in casa, urlando “Padania”…
Ma bando alle tristizie, dopodomani è Pasqua. E dunque vi racconterò che ieri
pomeriggio ho celebrato (su regolare delega del sindaco) il matrimonio tra
Grazia e Massimo, amici carissimi. Testimoni i figli Daniele ed Elena. Avrei
voluto fare un discorso castrista (sulle nove ore, sono capace…) ma mi sono
tenuto sui sei-sette minuti. Non c’era nulla da raccomandare, d’altronde; ciò
che prescrive il codice civile, l’educazione dei figli ecc., i due sposi lo
avevano già fatto, e in abbondanza. Ma
il pregio di questi due grandi amici lo voglio qua sottolineare: avere fondato
una famiglia e non essercisi chiusi, ma averla aperta al mondo, anche nei
momenti più difficili. E a proposito di apertura al mondo: andatevi a leggere
il sito dell’Ostello Bello. C’è un racconto della loro storia, che iniziò nei
fatti proprio un anno fa. E’ bellissimo. Ebbravo il Gracco!

 

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