Vergogne, qualunquismo e il fascino delle panzane

 

Quante cose che accadono, accidenti. Piazza della Loggia,
anzitutto. Familiari condannati a pagare. Stato senza pudore, che non prevede neanche
una legge per impedire queste vergogne, visto che era già capitato con piazza
Fontana. Se impiegassero per queste buone cause un milionesimo del tempo
impiegato per pensarsi i finanziamenti, saremmo a cavallo. Ripeto quel che ho
detto dopo la manifestazione di Libera a Genova, disertata dai leader politici
(immaginate una grande cerimonia delle madri dei desaparecidos nell’Argentina
democratica a cui non si presenti alcun dirigente di partito, nemmeno a
distanza): una politica che non ha rispetto per la parte più sanguinosa della
storia nazionale non merita alcun rispetto. Altro che qualunquismo. E a
proposito di qualunquismo. Ma la Lega e il suo popolo mica penseranno di
lavarsi la coscienza con l’espulsione di Belsito e della Mauro? Che cos’erano i
due, dei piovuti da Marte o operavano con l’appoggio pieno del leader màximo e
indiscutibile? E le molte proprietà della famiglia Bossi? Come se le sono
fatte? Io sono riuscito, in tutto, a comprare un bilocale con un mutuo
quindicennale, facendo anch’io il parlamentare e avendo pure i diritti d’autore
dei libri. Siamo davanti a un puro gioco di prestigio per  gonzi. Più serio è il documento che viene da
leghisti veneti: basta con la xenofobia e il localismo, il rigore è un’altra cosa;
non candidiamo più i senza lavoro, tipo Bossi padre e figlio, per intendersi.
E a proposito di localismo. Ieri pomeriggio ho trascorso un po’ di tempo con la
minore dei Gracchi in un bar-tenda di Porta Romana, insieme alla biondina. Dora
ha progetti belli assai. Mentre li esponeva mi sono reso conto che sotto la
tenda c’erano clienti ad altri cinque tavolini. Quasi tutti a due a due. E a
ogni tavolino si parlava una lingua diversa. Ho pensato a che cos’è la domenica
per un immigrato, ritrovarsi a un tavolino con un connazionale. Ho pensato
anche che certe ideologie sono semplicemente folli. Pensare, pensare sui dati
di realtà. Questo chiederò ai miei studenti del corso di Sociologia della
criminalità organizzata che inizia oggi a Scienze politiche. Nonostante l’esperienza,
è sempre un’emozione incominciare con nuovi ragazzi. Al largo le panzane e i
luoghi comuni delle antimafie.
E a proposito di antimafia. Leggo su un sito un’intervista di Lidia Baratta a
Giuseppe Catozzella, giovane autore di un bel libro, “L’alveare”. Che parla della
mafia a Milano, denunciando la numerosità delle intimidazioni. Dice che
Commissione e Comitato non sembra facciano molto (rispondo per il Comitato: ma
se il lavoro è riservato, come più
volte è stato ribadito, come fa a sembrare se si fa o no?). Poi dice di avere
parlato “nei giorni scorsi” con il presidente della Commissione e con me a
proposito della palestra incendiata ad Affori, e di averci chiesto “esplicitamente”
perché non sia stata ricostruita. Noi avremmo risposto burocraticamente che non
ci sono soldi. Ora io ho incontrato l’intervistato una sola volta in autunno, a
un dibattito; e poi mai più. Mai incontrato negli “scorsi giorni”, mai avuto, dunque,
domande: né “esplicite” né implicite. Sicché una domanda la faccio io: ma
quando si leggono le denunce antimafia non sarebbe bello essere certi che chi
le fa non racconta panzane?

 

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