25 aprile, fatti pubblici e fatti privati. Lo zio Romolo

 

L’assenza da questi schermi è stata lunga assai. Non potevo
non tornare il 25 aprile. Almeno per dirvi, allo scader della giornata, “buon 25
aprile”. Che non è, come oggi ho sentito dire con disprezzo in un bar, una “festa
rossa”. Ma è festa della libertà. Della Liberazione. Per questo mi ha fatto
piacere incontrare in manifestazione i miei amici Mario e Barbara con i loro due
fantastici bambini (milanisti, purtroppo) avvolti nel tricolore. Vi vorrei
parlare del viaggio intellettual-professionale a Berlino. O delle meraviglie
della Scuola Caponnetto, riunitasi –me contumace- a Firenze. O dei prodigi dei
miei allievi, che hanno mostrato in un esperimento fatto in aula intuito e prontezza
teorica spettacolari.
Lo farò. Ma ora vi parlerò di cose più private, come ogni tanto mi succede. Vi
parlerò dello zio Romolo. Se ne è andato venerdì scorso, mentre ero a Berlino.
Fine di un lungo spegnimento, senza dolori, in casa sua. Fratello di mio padre.
Ultimo vivo dei tre fratelli dalla Chiesa, la generazione precedente alla mia,
quella che ha affrontato tutte le prove più dure del novecento, dopo la Grande
Guerra. Era stato generale dei carabinieri anche lui, aveva pure comandato i
corazzieri, e questo l’aveva ai miei occhi di bambino circondato di un fascino
particolare. Volete mettere la corazza e l’elmo, e poi i cavalli (lo zio fu
anche comandante del reggimento carabinieri a cavallo)? E poi incarichi
importanti sul territorio. Avevamo punti di vista diversi. Ma mi ha sempre
rispettato, anche se ogni tanto le mie idee gli saranno apparse eretiche. Ho ricordi
belli. Dei tre fratelli adulti. Poi di tanti Natali a Roma, trascorsi con i
nonni. Quando mi si proponeva di andar visitando musei e io non vedevo l’ora di
andare a giocare con i miei cugini, “Romanino” e “Giulietto”, i maggiori dei suoi
figli (le cugine gemelle, Laura e Sandra, erano piccole). Partite di calcio
interminabili e bellissime per le strade dell’Eur, perché allora di auto ne
passavano proprio poche. Poi trionfi di dispetti e ancora calcio e monellerie
assortite, perfino esagerate, a Francavilla a Mare. Un’estate a casa sua, credo
quella del ’65, in cui lo vidi trasecolare quando Giulio, rimandato in greco a
settembre, venne con me a vedere Inter-Juve finale di Coppa Italia all’Olimpico.
Era il 31 agosto. Ma quando studi?, gli chiese lo zio. E lui gli mostrò il
libro di greco rispondendo soave “studio allo stadio”. Una delle gag più
strepitose sentite in vita mia. Dalla reazione che ebbe lo pensò anche lui. Fui
accolto e accudito quando andai militare vicino Roma. Una domenica ebbi una
punizione assurda. Un cretino mi aveva disfatto il letto e venni “consegnato”
in caserma. Dovevo andare a pranzo a casa dei cugini. Dissi a Romano perché ero
stato punito. Lo zio, colonnello, telefonò al capitano che aveva disposto la
pena. Il quale si inchinò alla cornetta chiedendo ad alta voce  “ma chi ha punito l’allievo dalla Chiesa?”.
Alla fine prese l’auto e mi accompagnò lui all’Eur . Incredibile…
Lo zio se ne è andato nel modo migliore. Con i quattro figli ad assisterlo per
mesi e mesi con amore infinito e un nugolo di nipoti che si sono dati il turno
per stargli vicini (la moglie, zia Gabriella, una signora dolce, se ne era
andata da molto). Se uno avesse voluto capire che cos’è davvero una grande famiglia
doveva solo mettersi in ascolto. Da qui saluto lui e i miei cugini. E un pezzo
della mia storia.

 

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