La società civile dica “no” ai partiti

 

Il Fatto Quotidiano di oggi

Dunque siamo tornati al ’92? Tanto rumore (e tanto strazio
delle istituzioni e del paese) per nulla? In un certo senso sì. La prima
Repubblica non se ne era mai andata. Si era acquattata dietro la sua coda
eversiva. Il suo cuore non aveva mai cessato di battere. Era rimasto tutto: l’onnipotenza
dei partiti, la loro avidità di risorse pubbliche, la commistione con
l’informazione, la lotta contro il principio di legalità, gli inciuci
mascherati con baruffe chiozzotte a uso di militanti e pubblico plaudente, la
corruzione,  la pretesa di autocrazia. Fino
alla scomparsa delle preferenze e alla nomina dei parlamentari dall’alto.
E’ stata una grandiosa operazione trasformistica che ha portato nelle
istituzioni battaglioni di “facce nuove”, di “prestati alla politica” e di
“giovani”, senza che la nomenclatura dei partiti uscisse mai di scena.
Ora ci risiamo. Eppure non ci troviamo al punto di partenza. Qualcosa di nuovo,
in mezzo ai miasmi e alla palude, c’è. E bisogna coglierlo. Conviene saperlo
cogliere per tenere la bussola di fronte alla più classica crisi durkheimiana
(quella che genera suicidi), davanti alla ripresa del terrorismo, alla potenza
della ‘ndrangheta, all’esplosione della corruzione. E, ovviamente, alla
marcescenza del sistema politico. Anzitutto il movimento 5 stelle non è la Lega
di allora. Chi lo dice non ha mai conosciuto il fiato pesante della prima Lega.
Che non pensava ai diamanti e alla Tanzania, è vero; ma diffondeva razzismo,
odio per i più deboli e trasferiva la cultura da bar nelle stanze del potere. Il
movimento 5 stelle ha un’ altra cifra civile. Il suo guru potrà straripare e
uscire dai confini del (mai spregevole) politicamente corretto. Ma i candidati
sono in genere giovani preparati, formati ai principi costituzionali, e perfino
rispettosi nel dibattito (mentre io ricordo un leghista a Milano-Italia urlare
un immondo “stai zitto scemo” ad
Antonino Caponnetto). Anche molte delle liste civiche che si sono affacciate
alla politica, e cito per tutte quella dei cassintegrati di Magenta, non hanno
nulla del qualunquismo di allora. L’Italia si è riempita di queste esperienze
negli ultimi anni mentre i talk show televisivi ci proponevano implacabilmente
sempre le stesse facce. Alle quali (in questo aveva una qualche ragione Silvio
Berlusconi) non è evidentemente bastato stare sempre in televisione per evitare
il tracollo o la scomparsa. Sono emersi ovunque giovani molto lontani dai polli
di allevamento dei partiti. Giovani svegli, combattivi, disposti a rischiare
una sconfitta. E  bravi assessori,
iscritti ai partiti tradizionali ma capaci di immettere nella vita pubblica
generosità e competenze ignote ai loro dirigenti. Il fatto è che partiti vecchi
e ammuffiti non sono in grado, come si è visto, nemmeno di ringiovanirsi.
Perché anche in questo vince la loro (decrepita) cultura. La prova regina la si
è avuta a Palermo, dove il vecchio leone Orlando ha travolto tutti per poi festeggiare
con la celebre (e bellissima) frase di Picasso: “ci vuole molto tempo per
diventare giovani”.

 

Non siamo al ’92. Un popolo immenso ha scelto di militare stabilmente dalla parte della legalità. Basta ricordare la straordinaria partecipazione, specie giovanile, di Libera a Genova il 17 di marzo, alla quale non per nulla non partecipò alcun leader di partito, né di primo né di secondo livello. L’informazione viaggia, carica di curiosità e di ironia, in rete, trasformando in gnagnera quella televisiva. L’esperienza consegna però ai cittadini democratici soprattutto un vantaggio rispetto al ’92. Quello di avere già visto la formidabile capacità camaleontica dei partiti, la loro disinvoltura nell’arruolare le risorse migliori della società civile a forza di “c’è bisogno di gente come te”, e di “bisogna sporcarsi le mani”. Per poi farne polpette e perpetuare il potere dei vecchi gruppi dirigenti. Oggi, dopo il lungo e amaro  ammaestramento, bisogna chiedersi se di nuovo si debba tenere artificialmente in vita un’élite di persone senza sangue e senza carisma. Infallibili nel trovarsi dove non c’è la gente e nel mancare dove la gente c’è. Ecco dunque la proposta: nessuno si candidi in questo contesto se da quei partiti non giungono gesti rivoluzionari. Se non si fa una nuova legge sul finanziamento dei partiti, se non si reintroducono le preferenze, se non si pone un tetto ai mandati per tutti, se non si vieta la candidatura ai rinviati a giudizio, se non si vota una legge per bloccare i tempi della prescrizione al momento in cui si avvia il processo. Così come siete non ci avrete: questo dovrebbe essere il “severo monito” popolare. Qualunquismo? Spirito antipartito? No, è l’unica cura possibile per chi proprio non ne vuole sapere di non suicidarsi. Era comodo quando la protesta si limitava all’astensione. Perché, a parità di percentuali, i seggi restavano gli stessi. Ora cambiano invece proprio i seggi. E cambieranno ancor di più quando arriveranno le liste bloccate. Lo capiranno? 

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