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Letteratura e birra. Miracolo (di madre) al Barrio’s
Il Fatto Quotidiano, 27.5.2012
Una birra, un libro e un ragazzo che non c’è più. Una storia
bella e malinconica che sta di casa alla Barona. Avete mai sentito parlare di
questo quartiere-landa alla periferia sud di Milano che vi fa maledire lo
stradario? Dove di notte potreste impazzire ore per uscirne? Ecco, proprio lì, tra
stradone e stradine, tra spazi immensi e budelli, venne in mente tanti anni fa
di andare a seminare a Gino Rigoldi, il prete-vulcano del Beccaria, il carcere
minorile di Milano. Lì nella periferia dormitorio volle aprire un locale, birreria
ma non solo, su una piazza grande e brulla, all’incrocio tra via Barona e via
Boffalora. Così nel 1997 nacque Barrio’s. Don Gino conosce le buone ricette per
i minori. E lo dimostrò anche ai più diffidenti. Perché Barrio’s diventò subito un punto di riferimento per i
ragazzi emarginati, spesso di altre lingue e culture, altrimenti condannati a
radunarsi in piazze senz’anima o negli spazi popolati solo dai fari delle (rare) auto di
passaggio. Insomma, un buon antidoto a devianza, solitudine e dispersione
scolastica. Un’autentica scommessa, vinta nel tempo grazie all’aiuto dei molti
amici di don Gino e della sua Comunità Nuova, di un gruzzolo di insegnanti
delle scuole intorno e di un po’ di associazioni che ci hanno creduto, Anpi
compresa. Apertura 315 giorni all’anno, sessantamila presenze. A Milano la
storia è piuttosto nota. E’ una delle sfide più simboliche, e vittoriose,
lanciate negli anni passati alla città inzuppata nel rancore. Un punto a favore
della tenacia del prete, capace di portare dalla sua parte anche il Comune
della tolleranza zero. Il segno che si poteva fare qualcosa anche per i nuovi
cittadini, gli immigrati di seconda generazione.
Quel che è meno noto è che questa sfida si è accompagnata a un’altra
sicuramente più temeraria. Fare della birreria della Barona un centro di
irradiazione letteraria, un ritrovo culturale. Piazzarci un premio letterario
per giovani autori, per le opere prime, ormai giunto alla tredicesima edizione.
Trasformando il Barrio’s in una eretica Viareggio o Pontremoli per giovani
talenti. Teoricamente non avrebbe potuto esserci luogo più controindicato. Invece
funzionò anche questo. Una giuria di prestigio, da Ermanno Olmi a Isabella
Bossi Fedrigotti, da Moni Ovadia a Rosellina Archinto o Grazia Casagrande. E
insieme, come lettori-giurati, gli studenti di dieci classi, scelte tra licei e
istituti tecnici. Dal premio sono passati autori ormai consacrati come
Benedetta Tobagi, Antonio Scurati, Roberto Saviano o Silvia Avallone. Quest’anno
(la premiazione si terrà martedì sera al museo diocesano) sono in gara tre
virgulti Einaudi: Ester Armanini, Paolo Soriga e Federico Russo. E anche stavolta la birreria è diventata per
qualche settimana un formidabile cenacolo in cui un centinaio di studenti ha
discusso animatamente con gli autori finalisti dei loro libri: l’amore della
figlia per i suoi genitori, la passione per gli insetti, l’amicizia, le donne
partigiane, il senso dello scrivere i propri sentimenti.
Quel che forse è ancora meno noto, però, è che questa grande esperienza
collettiva, che mette insieme la birra alla spina e il libro dell’esordiente,
la lotta all’emarginazione e la diffusione della lettura, ha dietro di sé qualcosa
di più intenso e pudico. Un sentimento materno, una associazione dal nome
speciale: “Amici di Edoardo”. Lo stesso Edoardo Kihlgren che ha dato il nome al
premio letterario. E a questo punto l’avrete capito: dietro tutto c’è il
ricordo di un ragazzo che se ne è andato troppo presto. Proprio mentre sperava
di partecipare alla costruzione di un’Italia migliore, e che chi scrive aveva
conosciuto. Un incidente stradale, nel ’94. Dietro tutto, oggi, c’è l’amore di
una madre che non si è arresa alla morte ingiusta e che, come tante volte
accade in queste circostanze, invece di chiudersi nel dolore ha voluto
trasformare il nome amatissimo in linfa vitale per gli altri.
Rosella Milesi Saraval ha un’eleganza dei modi che stravince sull’età. “Edoardo sognava di cambiare il mondo. Era irrequieto, aveva fatto la Bocconi e prima di finirla si era messo a lavorare. Poi aveva deciso di andare a Fontainebleau, dove c’è un distaccamento dell’università di Harvard. Quando vinse Berlusconi mi disse che in questo paese non ci voleva vivere. Capiva il messaggio che c’era in quel voto. Credeva nella solidarietà, e insisteva che l’unico modo per cambiare era educare le persone. Ho cercato, cerco di fare quel che lui chiedeva. Per questo ho lasciato la mia professione, ristrutturavo case e uffici o negozi; e mi sono dedicata praticamente a tempo pieno all’associazione, con l’aiuto degli altri miei due figli e dei suoi amici e amiche più cari. Per questo raccolgo i finanziamenti per il Barrio’s, chiedendo a fondazioni o enti pubblici, cercando di sostenere come posso un luogo nato all’insegna della solidarietà. Per questo seguo personalmente il premio, leggendomi tutte le opere prime in concorso. Che le devo dire, è un impegno che mi ha aiutato a sopravvivere. Soprattutto mi sembra di fare qualcosa che gli sarebbe piaciuta. Pensi che lui aveva scritto un paio di libri, genere fiction, che non aveva mai pubblicato, per cui anche la scelta di guardare ai giovani autori gli deve qualcosa. Se martedì sera spiegherò ai vincitori chi era Edoardo? No, sono discreta, di mia iniziativa non lo faccio mai, non ho ancora davvero superato quel momento. Se me lo chiedono sì, rispondo. Altrimenti evito. Sa, ancora mi emoziono”.
Nando
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