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“Società Civile”, facile dirlo (lucido intervento dell’Anfitrione sul “Fatto” di ieri)
Si fa presto a dire società civile. Espressione chiara,
espressione ambigua. Eroica e truffaldina a seconda dei casi. Erano società
civile sia Ambrosoli che difendeva il rispetto delle leggi sia Sindona che lo
fece uccidere. La società politica ascoltò molto più il secondo del primo.
Erano società politica sia Piersanti Mattarella che voleva ripulire la Regione
Sicilia dalla mafia sia Giulio Andreotti che andò a convegno con i suoi
assassini di Cosa nostra. Quando a Milano nel 1985 in un centinaio di persone fondammo
un circolo chiamato “Società Civile”, l’obiettivo era di liberare la città dalle spire della politica, dall’ossessione
dei partiti di controllare e taglieggiare ogni spazio: amministrazioni e
sanità, scuola e sindacato, giornali e associazioni, circoli culturali e
cooperative. Per questo fu deciso di vietarne l’iscrizione a chi avesse cariche
politiche o elettive; per avere almeno uno
spazio dove nel dibattito intellettuale e nelle scelte civili non comandassero
né le contrapposizioni né le convenienze inconfessabili dei partiti. Una
decisione che fu vissuta come uno sfregio dalla onnipotente nomenclatura
cittadina. Ma il risultato fu che le uniche e numerose denunce contro il
saccheggio della città vennero da quel circolo e dal mensile che ne nacque,
anni prima che entrassero in scena i magistrati di Mani pulite. Il fatto è che
quell’esperienza aveva uno slogan: “dare voce alla società civile per rendere
più civile la società”. Appunto: rendere più civile la società. Che
significava dare il giusto primato alle istituzioni e alle leggi, seminare
culture del rispetto e della tolleranza, della libertà e della solidarietà.
Tenere fuori la politica ma senza demonizzarla, dando giudizi differenti sulle
singole persone che la facevano, al di là del partito di appartenenza. Tra quei
fondatori c’erano David Maria Turoldo, Giorgio Bocca, Camilla Cederna, Paolo
Murialdi, Saveria Antiochia, Annalori Ambrosoli e il maresciallo Silvio
Novembre. C’erano persone che avrebbero preso strade diverse, come Giampaolo
Pansa e Corrado Stajano, Giuliano Urbani e Giorgio Galli. O una pattuglia di
magistrati che sarebbero diventati famosi: Gherardo Colombo e Giuliano Turone,
Piercamillo Davigo e Livia Pomodoro, Ilda Boccassini e Armando Spataro.
Impossibile ricordare tutti. Ma bastano i nomi per capire il progetto.
Intanto in Lombardia cresceva la Lega, società civile che si proponeva non di “rendere più civile la
società” ma di rendere dicibile in
pubblico ciò che l’incivile diceva al bar e che una persona normale si
vergognava di dire. Politicamente ebbe ragione lei. Il futuro fu suo, perché
anche questi sono gli effetti della corruzione senza pudore. La Lega portò
davvero nelle assemblee elettive gente nuova, che nella sua condanna di Roma
ladrona usava un linguaggio sconosciuto. Dopo pochi anni le si affiancò, in
veste di padrone, un altro esponente della società civile, Silvio Berlusconi,
diventato ricco e potente a colpi di favori fatti alla politica. Neanche lui
puntò a “fare più civile la società”. Se Craxi aveva (più o meno) fatto del suo
partito un’azienda, lui fece della sua azienda un partito. Fu eletto uomo di
Stato per combattere ossessivamente il senso dello Stato. Anche lui facendo
entrare in politica, oltre a qualche riciclato, personaggi che mai vi avevano
trovato posto, comprese escort e favorite personali. Società civile, non c’è
dubbio, se si vuol dire che non erano professioniste della politica o delle
istituzioni.
Ora riparte il giro. E il guaio è doppio. Perché da un lato i partiti sono fradici e hanno imbarcato una “società civile” debole e insignificante, una manna per chi pretende un diritto divino a comandare, tanto da non volersi più sottoporre a voto popolare. Dall’altro lato chi inneggia alla “società civile”non ha l’aria di volere lottare per rendere più civile la società. A volte sembra dimentico dei grandi valori che danno senso alla tecnica e alle competenze. Altre sembra non sapere che le parole sono pietre e che certe espressioni e immagini viaggiano come veleno nel corpo sociale, contribuendo a corromperlo ulteriormente nella tenzone liberatrice. Siamo in pieno rischio da tempi supplementari. Quando l’ansia di vincere travolge le regole. E i consensi devono arrivare tanti, maledetti e subito. Con la storia recente che ci ha insegnato che per vincere si fa prima a parlare alla pancia della gente.
Ma per quanto tempo ancora potremo permettercelo? Per quanto tempo potremo ancora, senza finire nell’abisso, continuare a parlare il linguaggio dell’anti-Costituzione, ripudiare la sobrietà intrisa di princìpi forti e rispettosi scolpita nella Carta, scritta non per caso da quelli che avevano fatto l’unica vera rivoluzione della nostra storia nazionale? Qui oggi siamo. Tra la rovina di partiti che portano sulla faccia i segni della casta. E i fescennini imbandierati da società civile che affondano senza pietà nel buon senso civico su cui si fonda una democrazia. Di qua Scilla, di là Cariddi. Chi è disposto a provare a passarci dentro?
Nando
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