Alice, nell’isola della leggenda

 

Il Fatto Quotidiano, 24.6.2012

E stasera per lei sarà il momento della felicità. “Alla
faccia del fango, del vento e della disorganizzazione apocalittica degli
inglesi”. Il concerto di Bruce nell’isola di Wight,  in un delirio di gioia con i suoi amici
italiani. “A pochi metri dal Boss mentre in contemporanea si giocherà Italia-Inghilterra.
Sono curiosissima di vedere che clima ci sarà tra noi e i giovani inglesi,
anche se in genere essere springsteeniani è più forte di tutto.” Alice Agus fa
il medico ortopedico al Niguarda. Milanese, trentatré anni, impegno civile, una
vitalità contagiosa, fa parte del battaglione di giovani italiani sbarcati in
una delle isole più famose della storia musicale per l’evento dell’anno. In
easyjet da Linate a Londra con zaino e “bagaglione”, ovvero tenda per due. Poi
treno o motostop e quindi traghetto. Tre concerti in successione: Tom Petty
venerdì, Pearl Jam ieri sera, Bruce Springsteen stasera. “Certo, Bruce. Ma più
di tutto mi ha attratto l’atmosfera di questi giorni, perché ognuno ha le sue
passioni, due mie amiche sul nostro stesso volo sono venute per i Pearl Jam. Cinque
palchi in cui si avvicendano gruppi di ogni tipo in contemporanea. Anche durante
il concerto di Springsteen sarà così. E’ un’esperienza che non avevo mai fatto:
bellissima, la scelta dei gruppi è impressionante”.
Chissà se l’isola di Wight 2012 diventerà una memoria cult delle giovani
generazioni di quest’epoca. Il luogo mitico dove nel fango si sono fuse musica
e speranza, viaggio e amicizia, futuro e passato. Il luogo dell’identità
collettiva che cercava se stessa tra i flutti morali della crisi. Perché il
popolo della musica sa bene che ci sono concerti che segnano l’esistenza e che
gli ingredienti non sono mai solo musicali. “A me capitò, per esempio, con il
concerto di Bruce di San Siro del 28 giugno del 2003, quello del diluvio universale
che ci prese a secchiate tutti per mezz’ora. Il ricordo di noi bagnati in mezzo
al prato, sotto il palco, io che avevo già sentito il concerto a Madrid al
Bernabeu da sola -una bellissima sensazione, le persone che conosci da più
tempo sono quelle sul palco-, io che torno dall’Erasmus in Spagna e di colpo
ritrovo i miei amici più cari di Milano, e ci rivado con loro, a sentire The Rising, avevamo fresca la memoria
della due Torri, e sapevamo che cosa volesse dire per Bruce cantarla”.
“Eppoi le questioni sociali non restano mai fuori dai concerti di Springsteen.
Ero ancora una liceale del Berchet quando mi feci tutto il tour storico del’96
nel sud della Francia, Nizza, Montpellier…, cinque giorni, il concerto acustico,
ricordo che viaggiavo con il libro di letteratura greca in mano, pazzesco,
quasi per rimuovere l’idea che avevo mollato la scuola per una settimana. Be’,
lì la canzone che teneva insieme tutto era The
Ghost of Tom Joad
, sulla grande crisi americana degli anni trenta. Mai
sentita prima di allora una canzone su una crisi sociale”. Alice comunica con la
voce emozionata lo stupore delle decine e decine di migliaia di giovani (“non saprei contarli”)
arrivati da tutto il mondo. Usa e riusa l’espressione “è una roba…” con i
puntini sospensivi, per dire alla moda milanese la meraviglia del campeggio mai
visto prima, “in un’isola che ha del leggendario e che finché non ci sono
arrivata non ci credevo. Il biglietto del concerto l’abbiamo preso con dieci
amici l’8 dicembre. Wight, era Wight il sogno. Di concerti di Bruce ne ho visti
e sentiti decine. Quanti esattamente non lo so, è anormale perché tutti li
contano, io comunque sono sopra ai trenta, in media uno ogni anno di vita. Poi,
è vero, lui fa spettacolo a sé, non c’è nessuno che si sappia dare con tanta
generosità al suo pubblico. Il 7 a Milano ha fatto il concerto più lungo della
sua vita a sessantadue anni. No, non penso che abbia avuto una stagione più
bella delle altre. Io non sono di quelli che dicono ‘ah, i tempi di The River’. Mai un concerto in cui mi
sia detta ‘mah…’. Al massimo posso avere avuto il rimpianto di pezzi fatti in
concerti in cui non c’ero. Ora per esempio mi dicono che a Madrid e Montpellier
abbia fatto pezzi da mangiarsi le mani”.
Alice è un medico che si occupa anche di problemi sociali. “Faccio parte di un
gruppo, siamo un centinaio, che organizza iniziative sull’urbanistica, sulla
giustizia, sulla corruzione, sui diritti umani anche in paesi lontani. Anche
gli amici che sono venuti con me ne fanno parte. Leggo, certo. Soprattutto
romanzi contemporanei, quando un autore mi piace poi me lo divoro tutto, magari
per un anno mi cerco ogni cosa che ha scritto. Però qui no, qui libri non ne ho
portati. Qui nulla deve interferire con questo clima da leggenda. Devono essere
tre giorni senza distrazioni, c’è troppa roba che va respirata fino in fondo. E’
vero, il tempo è stato vigliacco. Hai le caviglie nel fango, metter su le tende
è stato un delirio, ma poi quando arrivi davanti al main stage capisci perché
sei qui. E chissà come finirà con l’Inghilterra…”. E nessuno pensi che sia solo
musica.

 

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