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Stefania, dal G8 all’antimafia
Il Fatto Quotidiano, 9.7.2012
Non ci vuole niente. Due notizie
in nemmeno quaranta giorni e ti cambia la vita. Se non tutta, almeno il rapporto
con la politica e con le istituzioni. Strana e (oggi) bella storia quella di
Stefania Savoia, giovane precaria della scuola palermitana cresciuta a pane e
politica. La seconda notizia è appena arrivata. Schioccante, inaspettata. L’uscita
da un incubo: la sentenza della Cassazione sui fatti di Genova del 2001 (“anche
se meritavano il carcere”). Se li ricorda bene quei fatti, Stefania. Aveva
vent’anni tondi. Ed era andata da Palermo a Genova con Rifondazione comunista.
Sul treno del sud, per portare in manifestazione, dalla Sicilia conquistata da
Cuffaro, il suo sogno di un “nuovo mondo possibile”, “convinti che avremmo
fatto la rivoluzione”. Conobbe un altro mondo per davvero. Le prove tecniche di
un regime argentino che se ne fregava di leggi e di Costituzioni. Abituata alla
solidarietà con le forze dell’ordine dalla storia insanguinata della sua città,
la memoria rispettosa e perfino affettuosa dei poliziotti caduti contro la
mafia, scoprì di colpo che la polizia poteva essere un’altra cosa: un corpo da
temere, di cui avere terrore. Le cariche, le botte, le mani bianche alzate, le
urla, il sangue gratuito del sabato. “Per me fu un trauma, mamma mia, ricordo
un sacco di cose. Imparai a correre e scappare, non era mai successo, non avevo
mai avuto paura ad andare a una manifestazione, mai pensato di fare niente di
male. Noi per fortuna avevamo un servizio d’ordine di partito, mi presi solo
molti insulti dai poliziotti. La sera, mentre tornavamo, sapemmo della Diaz”. Il
trauma produsse anche in lei l’effetto che forse gli ispiratori della
“macelleria messicana” volevano produrre. La giovanissima “no global” lasciò
per un paio d’anni la politica, perse la voglia di farla dopo avere
incominciato sin da ragazzina, già a quattordici anni, subito a sinistra con
Rifondazione. “Non ce la facevo, avevo paura già solo a sentire il rumore degli
elicotteri”.
Il notizione numero uno, invece, è arrivato a fine maggio. Stavolta non da una corte
di giustizia ma dalle urne elettorali. Leoluca Orlando, battendo tutti i
pronostici e gli auspici dei leader del centrosinistra scesi a Palermo per
invitare a non votarlo, è tornato alla guida della sua città. Stefania, che già
da adolescente aveva partecipato alla sua campagna elettorale del ’97, si è
data subito da fare per il sindaco ribelle. “Sentivo che la città ne aveva
bisogno, negli anni scorsi non c’è stato un percorso politico in grado di dare
altre candidature, anche se Palermo è una città ricca sul piano sociale e
culturale. Nei dieci anni di Cammarata l’amministrazione è stata paralizzata,
ma la città non è andata in letargo. Dalla scuola ai centri sociali, dalle
associazioni culturali fino a qualche spezzone di partito”. In questo periodo
Stefania ha fatto politica a modo suo. “Parliamoci chiaro. Fare l’insegnante a
Palermo è una scelta politica. So le lingue, potrei lavorare ovunque, se sto
qui a insegnare dal 2007 è per veicolare valori fondamentali. Per costruire
cultura sulla mafia, la legalità, la stessa omosessualità. E sull’idea di un
mondo aperto. Lo dico sempre agli studenti, facendo le mie lezioni di spagnolo:
il mondo è vostro. E sa che cosa mi ha risposto un ragazzo a San Lorenzo? Prof,
siamo allo Zen 2, da qui non si esce mai. Ecco, bisogna combattere questa
condanna a vivere inchiodati in un quartiere. Miei colleghi andati al nord
hanno già un posto di ruolo, mentre io ora a luglio figuro disoccupata e
riprenderò uno stipendio a settembre, costretta a sommare più scuole per fare
l’orario pieno, e a cambiare i miei ragazzi ogni anno. Ma voglio stare qui. E i
ragazzi capiscono, quest’anno mi hanno preparato una torta con su scritto
‘grazie prof’ come a dirmi che il mio lavoro l’avevo fatto, e io mi sono
sciolta (qui Stefania si fa dolce nel suo abbigliamento semicollegiale; nda). Ho pensato pure che lo stipendio
me l’ero meritato, anche se ci sono sempre i governi a sbatterci in faccia che
non contiamo niente.
Poi faccio parte della redazione di Mezzocielo, il bimestrale femminile fondato da Simona Mafai, Letizia Battaglia e Rosanna Piraino, un’esperienza importante per la cultura palermitana. Ho la responsabilità di una sezione giovanile intitolata ‘Liberissime’. La letteratura femminile mi appassiona; con due amiche ho tradotto “Cartucho”,racconti di una donna, Nellie Campobello, sulla rivoluzione messicana. L’ha pubblicato “Le lettere” di Firenze.
“Che cosa mi aspetto da Orlando? Che ci ridia una città normale, viva. E sta succedendo. Appena è stato eletto si sono rivisti in strada gli spazzini, come se fosse tornato papà. Mi aspetto molto per la cultura. Lo Spasimo, i Cantieri culturali, il teatro Garibaldi, sono stati abbandonati. C’è una bellissima squadra di assessori, tanti giovani intorno al Re; anche Barbara Evola, del movimento dei precari, all’Istruzione. Non mi aspetto i miracoli, ho imparato che il cambiamento non si improvvisa. Certo che darò una mano. Non sono una leader di popolo ma ho sempre partecipato. No, per ora i partiti no. Meglio la scuola, meglio educare i ragazzi a farsi delle domande. Mezzocielo. E poi la rete, e le amicizie. Vede, qui la mafia si tocca, abbiamo avuto due governatori di fila finiti con l’accusa di mafia, eppure lei non ha idea di quanto sia ricca di valori Palermo. Di quanto sia bello il suo esercito di laureati……
Nando
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