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La bestia della memoria. Da Palermo a Milano
Il Fatto Quotidiano, 21.7.2012
La memoria…Che bestia difficile da addomesticare. Spesso va
per i fatti suoi. E’ andata per i fatti suoi quella di tanti protagonisti della
vita pubblica di vent’anni fa, che solo ora hanno iniziato a ricordare qualcosa
di quella vicenda che piccola non fu davvero, la strage di via D’Amelio. Né
c’era memoria in quella scritta infame apparsa a Palermo in via Maqueda e lì
rimasta fino all’ordine recente del sindaco Orlando di cancellarla: “Caselli
boia”. Che sembrava ispirata da qualche boss oggi al carcere duro, in odio al
giudice arrivato volontario dal nord vent’anni fa dopo le stragi che avrebbero
atterrito chiunque. Contro il giudice costretto allora a spostarsi in
elicottero, ma che avviò una nuova e lunga stagione di arresti e di condanne.
“Caselli boia”, scritto a Palermo che dovrebbe fargli un monumento. Ma ispirato
dal nord, dove da mesi qualcuno ha deciso a freddo di farne il bersaglio di una
campagna contro la criminalizzazione del movimento No Tav, sapendo che nessuna
criminalizzazione è in corso. Ne ha scritto un giurista come Carlo Federico
Grosso e non aggiungo nulla. Il guaio è che le mobilitazioni contro un nome e
cognome sono sempre più rapide ed efficaci. Intendiamoci, ogni atto giudiziario
può essere sottoposto a critica. Ma mi domando quanta memoria ci sia (del
passato sciagurato toccato ad altri e dei rischi corsi per decenni da Caselli a
difesa della democrazia) in quest’operazione di accusa incessante condotta
contro di lui. Sarò sincero: l’ho pensato con dolore anche leggendo qualche
passo di un libro (Non solo un treno)
appena scritto da Livio Pepino e Marco Revelli, due amici che tanti meriti
intellettuali hanno acquisito nella loro vita. Un libro che ha misura e contemporaneamente
ne rifugge. Weber avrebbe parlato delle antinomie della condizione umana: di quei
dilemmi in cui ogni scelta è lecita, pur esprimendo ciascuna un valore opposto
(in quel momento) all’altra. Quei dilemmi in cui ognuno sceglie “il suo dio e
il suo demone”. Il diritto alla polemica o il dovere di raffreddare questa campagna
di odio, senza perciò rinunciare a difendere le ragioni del movimento. Personalmente
sto con la memoria. La stessa che si cerca di ricacciare nel baratro quando,
per vincere la polemica a colpi di spray, si fa di Caselli un amico dei mafiosi
(anche “Caselli mafioso” è stato scritto, infatti), lui con la sua volontà di persecutore del movimento e -oggettivamente,
si capisce- benefattore delle imprese
della ‘ndrangheta. La nostra storia è piena di queste antinomie (dare le prime
pagine o no ai proclami dei terroristi? intervistare o no Liggio in tivù? criticare
o no un giudice o un politico sotto tiro?). Nessuna posizione è mai rimasta
senza conseguenze. E anche questo andrebbe ricordato.
La memoria… Da Palermo a Milano. Sono rimasto di sale facendo un esperimento con i miei studenti. Prima dell’inizio del corso ho dato loro un questionario per misurare ciò che sapevano. Studenti universitari motivati, con un buon bagaglio di informazioni. Dentro inserisco una domanda: quali di queste persone non sono state uccise dalla mafia? Segue elenco, comprendente nomi di eroi dell’antimafia e dei loro contrari. Su 154 studenti ben 50 rinunciano in partenza a rispondere. Non sanno, non distinguono, nemmeno Peppino Impastato o Pio La Torre. Un quarto di chi risponde mette tra le “non vittime di mafia” il nome di Ambrosoli, eroe civile milanese, a cui sono stati dedicati due libri e un film di successo, e il cui figlio Umberto va da anni nelle scuole a parlare di legalità. Ho rimediato. Ma non ho rimediato, e me ne amareggio, per Antonino Scopelliti, il sostituto procuratore generale della Cassazione fatto uccidere da Cosa Nostra in Calabria subito prima di Falcone e Borsellino nell’estate del ‘91. Fu l’ultimo tentativo dei corleonesi di farla franca in Cassazione. L’anniversario sarà il 9 agosto. Non commettiamo l’errore di dimenticarlo ancora, come chiedono giustamente i suoi familiari.
E infine, di nuovo Palermo. Fino a una settimana fa in via Carini, sul luogo esatto in cui il 3 settembre del 1982 venne ucciso il prefetto di Palermo, c’era un cartello scritto a mano: “Per favore non lasciate la spazzatura sotto la lapide del generale dalla Chiesa”. Palermo. Scritte di odio, scritte di pietà. Dietro sempre lei, la memoria che abbiamo. O che vogliamo avere.
Nando
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