Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Olinda. La città che profuma di Calvino e di Basaglia
Il Fatto Quotidiano, 22.7.2012
Ma come si fa a chiamarsi Olinda? Eddai, diciamolo. Da
quando ci è piombata addosso via tivù quella favola da orchi di Rosa e Olindo, ogni
nome che ce la ricordi ci provoca un brivido. E invece il progetto di Olinda,
dal nome di una delle città invisibili di Calvino, riconcilia con la vita.
Basta prendere la linea gialla della metropolitana milanese e arrivare fino
alla stazione di Affori Fn, estrema periferia nord-ovest. Poi camminare per
cinque minuti verso sinistra. E ci si trova all’ex Paolo Pini, il vecchio
ospedale psichiatrico di Milano immerso
tra gli edifici, gli spazi e i parchi che un giorno vennero concepiti per
ospitarvi quelli che fino a Basaglia erano, per tutti, “i pazzi”.
Da anni lì vengono ospitati eventi sociali e culturali. Lì, dal 2001, si
celebra con spettacoli teatrali e musicali il 25 aprile. Da anni vi si tiene
una rassegna speciale intitolata “Da nessuno vicino è normale”. Che quest’anno
è letteralmente esplosa. Gente ai dibattiti già alle sei e mezzo del
pomeriggio, necessità di prenotare con largo anticipo per trovare posto a cena
alle tavolate del frugale ma ottimo ristorante, teatro al chiuso e teatro
all’aperto, musica. E la leggenda, che pare abbia un qualche fondamento, delle
zanzare che vanno a letto subito dopo cena.
A guidare il progetto Olinda, c’è lui, Thomas Emmenegger, uno psichiatra
svizzero nato a Lucerna 59 anni fa, che si divide tra Milano e il Canton
Ticino, dove è dirigente del servizio psichiatrico. Un tipo magro in jeans e occhialini,
placido ma deciso come deve esserlo chi si prende in carico un progetto tanto
delicato. Con lui Rosita Volani, che si occupa degli eventi culturali e
spettacolari. “Il senso di quello che stiamo facendo? Glielo dico così, con il
linguaggio immaginifico degli psichiatri: ci
piace l’idea che il confine tra realtà e finzione sia penetrabile, che le
fantasie e i desideri possano diventare materiali, che le materie e le pratiche
di lavoro diventino occasione per sognare, che una persona in difficoltà possa
diventare protagonista della propria vita, quando supera i confini, naviga in
acque non ancora esplorate, ricostruisce identità”. Parole mai in libertà.
Controllate, vigilate. Thomas arrivò in Italia trent’anni fa. Un grande maestro
in mente: Franco Basaglia. Andò a lavorare a Trieste, per imparare la sua
esperienza. Poi a Roma. Finché non gli venne chiesto da Milano di accompagnare
la chiusura del Pini, di traghettare
l’ospedale verso altri destini. “La Lombardia era in ritardo. C’erano ancora
dodici manicomi aperti. Del Pini dicevano che lo tenevano a esaurimento, ma
quando ci arrivai c’erano ancora ospiti al di sotto dei cinquanta, il che vuol dire
che continuavano a prenderne di nuovi. Poi nel ’99 chiuse, la legge Bindi
penalizzava finanziariamente le regioni che tenevano aperti gli istituti. E dal
2001 è ‘l’ex Paolo Pini’ guidato da una cooperativa sociale, ‘La fabbrica di
Olinda’. No, non c’è nessuna convenzione con la Regione. Non vogliamo, la
logica delle prestazioni specifiche e separate cozza con le necessità
dell’intervento psichiatrico, che chiede progetti generali, flessibili. Così
abbiamo dato vita a quella che a Trieste era chiamata l’ ‘impresa sociale’. Ci
manteniamo con le attività commerciali, il ristorante, il catering, i
laboratori, l’ostello. Vengono qui persone da tutto il mondo, artisti e registi
per lavorare con noi, per produrre con noi i loro spettacoli. I locali? Sono in
comodato gratuito, ma il teatro l’abbiamo ristrutturato noi a nostre spese. Poi
abbiamo dei finanziamenti da fondazioni bancarie. Ma ci piacerebbe che la nuova
amministrazione comunale sapesse valorizzare quello che è stato creato in più
di dieci anni, affermare logiche diverse nella salute”.
Thomas ha lo sguardo acuminato e gentile. Contempla con amore il variegato insieme sociale che si
muove intorno a lui. “Costruiamo opportunità per lavorare, abitare e stare con
gli altri. Facciamo torte, salute, cultura, cocktail, relazioni, feste,
formazione, riunioni (tante!), bilanci, calcio, contratti di lavoro a tempo
indeterminato, laboratori di teatro, ristrutturazioni. E anche errori,
aggiungo, senza nascondere di aver paura che il cielo ci possa cadere sulla
testa. Quaranta sono i soci lavoratori. Ma tra borse, tirocini e tutto il
resto, sono circa cento le persone in difficoltà che ci lavorano. Certo,
bisogna sapere accettare l’imperfezione. Chi serve ai tavoli può sembrare
lento, talora buffo. Non possiamo essere il massimo dell’efficienza. Ma chi
viene da noi o usa i servizi della cooperativa lo sa”.
Olinda è città speciale. Dentro il suo antico e oggi magico recinto si vive, si mangia, si lavora, si fa cultura, si accoglie: clienti ma anche futuri lavoratori, compresi quelli ancora lontani dall’idea di poter lavorare. Si coltivano orti comunitari, lo fa l’associazione “Il giardino degli aromi”. Recentemente c’è stato anche il congresso di tre giorni dell’Arcilesbiche. Ci viene spesso Marco Paolini che lo scorso anno nel giorno della memoria ci ha rappresentato Ausmerzen, sull’assassinio dei disabili sotto il nazismo. “Nessuno è più residente nei vecchi locali, si usa solo l’ostello dove si mescolano ospiti in difficoltà e giovani contenti di frequentarli. Oggi la geografia dei disagi si è molto estesa e atomizzata. Per questo siamo affascinati da un’idea ambiziosa: fondare una città là dove non c’è, trasformare il Paolo Pini in un luogo di cultura e di vita partecipata”. Olinda a Milano, dove fu estrema periferia per i malati di mente.
Nando
Next ArticleQui Libera, Borgo Sabotino: se la "cacca" è meglio del "bacio"