L’Enrica. Un mastino si aggira per la bassa mantovana

 

Il Fatto Quotidiano, 5.7.2012

Un mastino si aggira nella bassa padana. Da anni minaccia
quella   genia errante -giornalisti, intellettuali,
magistrati, testimoni civili- che affolla incontri e talk show di paese. Da
anni ha trasformato per loro quella fetta di pianura mantovana che sta tra
Viadana, Suzzara e Pegognaga in una sorta di triangolo delle Bermuda. Chiunque
vi arrivi per una sola volta viene infatti costretto a tornarci il mese o l’anno
dopo. Tanto non è mai questione di tempo, il mastino non molla. E vince per
sfinimento della vittima. Il soggetto in questione è una giovane signora, una
cascata di ricci biondi, occhiali sottili e viso affilato, che parte da
Viadana, il suo comune, setaccia i dibattiti del circondario, senza tralasciare
né Mantova né Parma, né Bologna né Reggio Emilia, e va a scoprire chi può fare
al caso suo. Una specie di talent scout al servizio -gratuito- di tutte le
associazioni della zona.
L’Enrica (Tassoni di cognome) ha una sua precisa strategia operativa. Si siede
in prima fila, studia i relatori, dà loro mentalmente i voti, poi incomincia a
sorridere ai malcapitati prescelti. E in testa sua li distribuisce tra i vari
eventi di cui tiene il registro, da lì a un anno: il 25 aprile, la ripresa
delle scuole, l’associazione per la pace, il comitato per la libertà
d’informazione, il circolo locale, il referendum, la cooperativa per disabili,
il coordinamento di studenti universitari, il gruppo musicale. Poi si fa avanti,
prende indirizzo elettronico e qualche volta cellulare, e da quel momento per
il prescelto è finita. Il suo destino è tornare nel triangolo delle Bermuda. Dove
l’Enrica la conoscono tutti. E’ lei l’asso nella manica di chi sarebbe
altrimenti rassegnato all’idea di non potere mai sentire il giudice che
appassiona le folle, l’intellettuale raffinato o il prete che incanta le genti.
Perché quel che in teoria non è permesso dalla scarsità di relazioni, dai
trasporti accidentati o dalla povertà dei mezzi, diventa possibile grazie a lei,
maestra elementare dal fare austro-ungarico e con un debole per il diritto
costituzionale e la sociologia. L’ultimo colpo lo ha messo a segno con uno dei
personaggi più contesi del momento. Antonio Ingroia andrà per lei nel parco di
Pegognaga, che non è esattamente né Portovenere né Cortina, nella incredibile
data del 16 agosto; e c’è da scommettere che gli farà trovare, anche in quella
data da afa e da zanzare, centinaia di persone.
“Ho incominciato dieci anni fa, con il comitato ‘Libera l’informazione’,
costituito per fronteggiare la disinformazione berlusconiana tra le provincie
di Mantova e di Reggio. Poi sono nate altre esperienze e sempre più spesso sono
stata chiamata a dare una mano. Vuole sapere il mio segreto? La professoressa
del liceo mi diceva che non diventavo rossa neanche se mi tiravano i pomodori
in faccia. Con i bambini, sia chiaro, è un’altra cosa. Insegno da vent’anni e
so la delicatezza che occorre con loro. Ho il diploma di specializzazione come
insegnante per disabili, ho fatto il sostegno per un po’ di anni. A Boretto,
accanto a Brescello, il paese di Peppone e don Camillo. Ma con i personaggi
famosi penso che in fondo non mi conoscono e non mi costa niente. Devo solo
percepire il ‘ni’ e poi non mollo più. Lo faccio solo per le associazioni.
Partiti no, mai avuto una tessera. Nessuna antipolitica. Io credo di farla, la
politica. Semmai da ragazza non ne sapevo nulla. Ma dopo Falcone e Borsellino ho
incominciato a leggere, a darmi da fare”. Pochi anni fa, arrivata ai
trentacinque, l’Enrica ha scelto di metter ordine nelle sue letture e si è
presa la laurea magistrale all’università di Modena-Reggio Emilia: scienze
della comunicazione e dell’economia.

 

Così ha imparato a marcare ancora meglio l’ospite desiderato. Alle sue costole per mesi, senza tregua. “Carlo Lucarelli, Gherardo Colombo, Alex Zanotelli, Gino e Teresa Strada, Marco Travaglio, Marco Revelli, Lidia Menapace, Gianfranco Bettin, Felice Casson, sui due piedi non li ricordo tutti. Ora ogni tanto mi dispiace, soprattutto quando l’ospite lo conosco già. Ma se me lo chiedono per una buona causa lo devo fare”. La maestra però sa farsi perdonare. Perché il contorno gastronomico dell’invito è sempre da manuale, quasi avesse dietro una Babette padana capace di sfornare leccornie di ogni tipo, sempre passando, si intende, per tortelli di zucca e lambrusco. E perché se deve presentare un libro state tranquilli che lo ha letto davvero, non se la cava dicendo che “si legge come un romanzo”; e neppure, se deve presentare qualcuno, se la cava dicendo che “non ha bisogno di presentazioni”. Insomma, è una che lavora sodo. E al momento dei saluti c’è sempre un dono, che è in realtà (ma questo lo si afferra solo dopo) il grazioso anticipo del prossimo invito-precettazione: un limoncello o un nocino o altro prezioso liquore (perfino di bacche di pruno) fatto in casa dalla mamma, casalinga e contadina d’eccezione. Ecco, queste sono le storie che andrebbero raccontate quando si descrive con enfasi la vivacità dei posti e il radicamento delle associazioni. Perché quasi sempre, gratta gratta, c’è sotto un piccolo gruppo di persone che, tra un movimento collettivo e l’altro, restano sempre al proprio posto. Anche quando scoccano le scintille dell’amore. Quelle che stanno facendo traslocare l’Enrica a Bologna al seguito del suo compagno, un professore universitario. “Se smetto con la bassa mantovana? Non ci penso nemmeno, loro mi chiameranno e io ci sarò”. La tribù dei relatori viaggianti lo tenga a mente. 

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